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Fase 2, ancora pochi tamponi. Gimbe: “Regioni li fanno con contagocce perché temono nuovo lockdown”

I tamponi effettuati sulla popolazione sono ancora troppo pochi, mentre la Fase 2 richiederebbe una strategia di testing esteso. La fondazione Gimbe, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario, mette in evidenza dei dati che mostrano come tra le Regioni ci sia ancora una differenza altissima test eseguiti, forse per paura che vengano alla luce nuovi contagi che facciamo scattare nuovamente il lockdown.
A cura di Annalisa Girardi
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Fin dall'inizio dell'emergenza coronavirus si è sviluppato un dibattito sui tamponi effettuati. Dallo scorso 4 maggio si è avviata la Fase 2, in cui il Paese procederà a una graduale riapertura dopo due mesi di lockdown. La fondazione Gimbe, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario, sottolinea la necessità di attuare un piano di testing esteso in tutto il territorio nazionale per questa seconda fase dell'epidemia. Al momento, infatti, un terzo dei tamponi realizzati sono di controllo e nelle ultime due settimane si registrano mediamente 59 test per 100mila abitanti al giorno. Dato che varia ancora tantissimo da Regione a Regione, con 12 tamponi giornalieri per 100mila abitanti in Campania e i 130 della Valle d'Aosta. Cifre troppo basse secondo la fondazione Gimbe, che fanno pensare che molte regioni eseguano i "test con contagocce" per timore di nuovi lockdown.

Per questa ragione la fondazione ha lanciato un doppio appello: alle Regioni si chiede di aumentare i tamponi effettuati in modo da avere un quadro più affidabile rispetto ai casi attivi, mentre al governo si domanda di stabilire una soglia minima di tamponi da effettuare al giorno di 250 test per 100mila abitanti in modo "da evitare comportamenti opportunistici".

Il monitoraggio dei nuovi casi

Con un decreto, lo scorso 30 aprile il ministero della Salute ha illustrato alle Regioni 21 indicatori diversi per seguire l'evoluzione dell'epidemia e valutare l'impatto del rischio sanitario, specialmente per quanto riguarda la capacità degli ospedali. Il presidente della fondazione, il dottor Nino Cartabellotta, sottolinea che sebbene da qualche settimana ormai sia costante l'alleggerimento del carico sulle strutture ospedaliere, e soprattutto sulle terapie intensive, i dati per quanto riguarda i nuovi contagi non sembrano ancora essersi stabilizzati. Nell'ultima settimana, dal 30 aprile al 6 maggio, si sono registrati 10.866 nuovi casi e 2.002 nuovi decessi. Anche se nello stesso periodo di tempo si sono registrati 3.441 ricoveri in meno e nelle terapie intensive si solo liberati 462 posti, siamo comunque ancora di fronte a numeri notevoli di contagio.

"Rispetto alla ridotta pressione sugli ospedali, tuttavia il numero dei nuovi casi è influenzato dal numero dei tamponi eseguiti dalle Regioni e pertanto soggetto a possibili distorsioni", ha avvertito il dottor Cartabellotta. Per questo motivo quindi, la fondazione Gimbe ha deciso condurre un'analisi indipendente sui dati della Protezione Civile che, dallo scorso 19 aprile non riporta solo il numero totale di tamponi effettuati, ma anche i "casi testati". Una categoria sotto la quale ricade "il totale dei soggetti sottoposti a test" e che di fatto indica i tamponi diagnostici. La differenza tra tamponi totali e casi testati, spiega la fondazione, corrisponde ai "tamponi di controllo", cioè quelli effettuati su un soggetto già sottoposto a test per verificarne la guarigione virologica. Dall'inizio dell'epidemia sono stati effettuati in totale 2.310.999 tamponi: di questi il 67,1% diagnostici e il 32,9% di controllo.

I tamponi nelle Regioni

"Le nostre analisi effettuate sugli ultimi 14 giorni forniscono tre incontrovertibili evidenze: innanzitutto, si conferma che circa 1/3 dei tamponi sono “di controllo”; in secondo luogo il numero di tamponi per 100.000 abitanti/die è molto esiguo rispetto alla massiccia attività di testing necessaria nella Fase 2; infine, esistono notevoli variabilità regionali sia sulla propensione all’esecuzione dei tamponi, sia rispetto alla percentuale di tamponi diagnostici", ribadisce il dottor Cartabellotta. Nella sua analisi, Gimbe, prendendo in considerazione il periodo tra il 22 aprile e il 6 maggio, colloca le Regioni in cinque diverse classi, tenendo conto della propensione a effettuare test sempre secondo il parametro di 100mila abitanti. Diventa subito evidente che si siano forti differenze a livello del territorio.

Nella prima classe, che indica le zone in cui sono stati effettuati più di 250 tamponi, non rientra nessuna Regione. Nella seconda, per cui i tamponi effettuati vanno dai 130 ai 250, troviamo invece il Veneto, la Valle d'Aosta, il Friuli Venezia-Giulia e la province autonome di Trento e Bolzano. Nella terza classe, tra i 100 e i 129 tamponi, ci sono il Piemonte, l'Emilia-Romagna, l'Umbria e la Liguria. In penultima classe, la quarta che indica un numero di test eseguiti tra i 60 e i 99, vengono inserite la Lombardia, le Marche, la Toscana, il Molise, il Lazio, l'Abruzzo e la Basilicata. Nella quinta e ultima classe, con meno di 60 tamponi, si trovano la Calabria, la Campania, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna.

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"Serve una strategia di testing diffuso"

Da questi numeri appare subito chiaro che in molte Regioni il numero di tamponi effettuati è ancora ridottissimo. Nonostante organismi internazionali, in primis l'Organizzazione mondiale della sanità, raccomandino il contrario. E nonostante la disponibilità dei reagenti non manchi: il commissario straordinario, Domenico Arcuri, ha infatti confermato che 3,7 milioni di tamponi sono già stati distribuiti alle Regioni e che altri 5 milioni sono in arrivo nelle prossime settimane.

La fondazione Gimbe, sottolinea quindi Cartabellotta "da un lato richiama tutte le Regioni a implementare l’estensione mirata dei tamponi diagnostici, dall’altro chiede al Ministero della Salute di inserire tra gli indicatori di monitoraggio della fase 2 uno standard minimo di almeno 250 tamponi diagnostici al giorno per 100.000 abitanti". Il presidente della fondazione conclude quindi suggerendo che il governo, oltre a favorire strategie di testing, debba "neutralizzare comportamenti opportunistici delle Regioni finalizzati a ridurre la diagnosi di un numero troppo elevato di nuovi casi che, in base agli algoritmi attuali, aumenterebbe il rischio di nuovi lockdown".

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