“La musica è come la vita, si può fare in un unico modo: insieme.” Parole capaci di curare e ferire allo stesso tempo, in questo periodo in cui il dolore si mescola al rancore più disumanizzato. Come questo 2020 che ogni giorno ci strappa a morsi un pezzo di cuore, di sogni da mettere in borsa, del noi più spensierato. Come quella sofferenza che il Maestro Bosso non ha mai nascosto, vestendola di dignità, eppure sapeva trasformarla in forza e luce. Quella migliore, lavata da pietismi e compassione.
Un ennesimo scherzo, o ingiustizia, o bastardata. Un accanimento di questo anno che ancora una volta pretende di insegnarci la fragilità umana, come se non ce lo ricordassimo abbastanza. Eppure Bosso di fragile aveva poco, ma tantissimo di delicato: in ogni gesto mosso nell’aria con bacchetta e mani a disegnare note e speranze, con eleganza, resilienti come fiori tra le crepe dell’asfalto.
Se c’è una cosa che non sopporto è la glorificazione del disabile in quanto tale: “sei un grande, non so come fai, ti stimo!”. Ezio Bosso non ha mai smesso di ricordare al mondo di essere un disabile visibile in mezzo a troppi disabili invisibili, ché l’empatia è un impegno e non un lusso e mica in tanti lo sanno mantenere.
“Per me la morte non esiste, è solo parte della vita”. Ecco, così sarà lui, immortale come quella musica sempre estranea alle catene della malattia, perché tanto ha insegnato e tanto, di certo, continuerà ad unire. In quell’ottimistico “insieme” che non smetterà di dirigere.
Un abbraccio al pianista, compositore e direttore geniale Ezio Bosso. Un abbraccio all’uomo che mai si è arreso. Che possa oggi essere libero, ancor più di prima.