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Expo 2015: scusate il ritardo

La verità è che Expo, al momento, sembra una scusa: un pretesto per progettare e costruire direttrici ed edifici, da un lato, un’opportunità per discutere e contestare il mercato del cemento, dall’altro.
A cura di Roberta Covelli
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Piove ancora quando mi avvicino alla rete del cantiere e l'odore di terra bagnata si mischia a quello del cemento. Il cielo milanese, in autunno, non esiste: assume una sfumatura tra il bianco e il grigio, perfettamente intonata ai colori della stazione di Rho Fiera, una di quelle architetture sorte in un'area che prima era solo una strada diritta e che ora è diventata groviglio di rotatorie, viadotti e incroci, per collegare l'hinterland alla grande città. Ad accogliere chi si diriga verso i lavori di Expo, dai binari della stazione, c'è un cartello, che avverte delle modifiche al percorso pedonale per via del cantiere. In stampatello, una frase tipicamente ferroviaria: “Ci scusiamo per il disagio” affiancata dall'estemporanea protesta di un anonimo che, a pennarello, traccia uno sbiadito “No!”.

Ma quel monosillabo non è l'unica protesta. Sulle mura esterne della stazione non mancano gli slogan: contro la speculazione, contro il cemento, a favore del diritto alla casa e alla mobilità, per battaglie sociali opposte all'attuale sistema economico. Expo, al momento, sembra una scusa: un pretesto per progettare e costruire direttrici ed edifici, da un lato, un'opportunità per discutere e contestare il mercato del cemento, dall'altro.

Nonostante il nome, però, dell'esposizione in sé si parla poco: tratterà di cibo e di alimentazione, si sa, eppure il pensiero immediato e diffuso resta ai lavori. “Chissà se li finiscono” è una frase ricorrente. E infatti, fino a settembre, l'area del cantiere era ferma a quattro edifici grigi, cubi di cemento armato in mezzo al nulla. Poi è sorto tutto il resto: strutture dall'apparenza leggera, bianche, e altre costruzioni, dalle linee moderne, che si stagliano verso l'alto o si uniscono, spuntate in fretta, alcune nel giro di una manciata di giorni. Ma, a sei mesi dall'inizio dell'evento, il colpo d'occhio sul cantiere non è molto rassicurante, così come inquietanti sono le indagini su appalti e corruzione, che impegnano adesso magistrati e giornalisti ma su cui già vi erano le denunce da parte di alcuni centri sociali diversi anni fa.

Lavori e inchieste a parte, Expo è anche tanta pubblicità: spot, installazioni nelle piazze di Milano e video online. Ma come si svolgerà l'evento non è un tema che appassiona, forse anche per colpa di sforzi comunicativi che parlano di una manifestazione epocale, del “vero social network dell'anno”, di frasi ricche di inglesismi ma che suonano come il celebre “faccio cose, vedo gente”.

Si prevedono comunque turisti e nuovi posti di lavoro nell'indotto, ma gli impieghi offerti ufficialmente, per ora, dagli organizzatori di Expo sono quelli dei volontari, cui si aggiunge un bando straordinario per il servizio civile nazionale: inviare curriculum, per girare il mondo stando a Milano, per vivere un'esperienza unica, che “ti permetterà di guadagnare diverse competenze!”. Gratis. Perché, insomma, il tema di Expo è nutrire il pianeta, non certo dar da mangiare ai lavoratori.

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Nata nel 1992 in provincia di Milano. Si è laureata in giurisprudenza con una tesi su Danilo Dolci e il diritto al lavoro, grazie alla quale ha vinto il premio Angiolino Acquisti Cultura della Pace e il premio Matteotti. Ora è assegnista di ricerca in diritto del lavoro. È autrice dei libri Potere forte. Attualità della nonviolenza (effequ, 2019) e Argomentare è diabolico. Retorica e fallacie nella comunicazione (effequ, 2022).
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