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Ex Acna, l’eredità mortale della chimica italiana: milioni di scorie tossiche da bonificare

A Cengio, piccolo comune in provincia di Savona, l’Acna (Azienda Coloranti Nazionali e Affini) era conosciuta come la “fabbrica dei veleni”. Per quasi un secolo, una quantità impressionante di sostanze tossiche è stata riversata nel vicino fiume Bormida. Gli impianti, chiusi nel 1999 dopo una lunga battaglia ambientalista, hanno lasciato in eredità 550mila metri quadrati di zona contaminata. Una bomba ecologica la cui bonifica non si è ancora conclusa.
A cura di Mirko Bellis
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L’inquinamento provocato dall’Azienda Coloranti Nazionali e Affini (Acna) a Cengio e nella Val Bormida era conosciuto da tutti: abitanti, amministratori locali, lavoratori e politici. Per quasi un secolo, tuttavia, è stato consentito all’impianto chimico – ribattezzato la “fabbrica dei veleni” – di provocare una delle peggiori crisi ambientali d’Italia. Una storia senza fine, perché la bonifica totale del sito deve ancora concludersi. Intanto, una bomba ecologica grande 550mila metri quadrati, a cavallo tra Liguria e Piemonte, continua a minacciare la salute e l’ambiente.

L’Acna: la “fabbrica dei veleni”

Le acque della lavorazione dell'Acna finivano nel fiume Bormida (Ass. Rinascita Valle Bormida)
Le acque della lavorazione dell'Acna finivano nel fiume Bormida (Ass. Rinascita Valle Bormida)

“Hai mai visto Bormida? Ha l’acqua color del sangue raggrumato, perché porta via i rifiuti delle fabbriche di Cengio e sulle sue rive non cresce più un filo d’erba. Un’acqua più porca e avvelenata, che ti mette freddo nel midollo, specie a vederla di notte sotto la luna.” Con queste parole lo scrittore Beppe Fenoglio descriveva la condizione del Bormida, un fiume lungo circa 180 chilometri che attraversa Piemonte e Liguria. Il nome del responsabile dell’inquinamento è uno solo: l’Azienda Coloranti Nazionali e Affini, Acna appunto. Gli stabilimenti chimici situati a Cengio, piccolo paese in provincia di Savona a due passi dal confine piemontese, per decenni hanno sversato impunemente tonnellate di rifiuti tossici nelle acque del Bormida. Benzene, fenolo e molti altri derivati dalla lavorazione dei coloranti, tanto da rendere il fiume biologicamente morto per più di una ventina di chilometri a valle.

Cengio diventa uno dei centri chimici più importanti d’Italia

L'Azienda Coloranti Nazionali e Affini occupava oltre 4.200 lavoratori negli anni '70 del secolo scorso (Mario Bertola)
L'Azienda Coloranti Nazionali e Affini occupava oltre 4.200 lavoratori negli anni '70 del secolo scorso (Mario Bertola)

Nel 1966, l’Acna passa sotto il controllo della Montedison. E sempre in quegli anni cominciano le prime manifestazioni popolari contro la contaminazione ambientale sempre più evidente. Gli abitanti della Val Bormida protestano, nonostante i tecnici dell’impianto assicurino: “E’ un inquinamento di colore, senza conseguenze. In base all'aspetto si parla di dannosità delle acque: è un fenomeno psicologico”. “Posso affermare – spiegava il dottor Ortolani, l’allora direttore dell’Acna – che a pochi decine di metri dagli scarichi dello stabilimento l'acqua della Bormida viene prelevata per abbeverare gli animali e irrigare gli orti”. Alla luce di quello che si scoprirà in futuro è evidente quanta irresponsabilità ci sia stata dietro tali dichiarazioni. Nel 1976, il sindaco di Acqui Terme sporge denuncia contro ignoti per “avvelenamento colposo di acque destinate all’alimentazione umana”. In quello stesso periodo oltre 4.200 persone sono occupate nell'azienda di coloranti. E gli anni a venire saranno proprio segnati dallo scontro tra i lavoratori (con l’appoggio dei sindacati e della classe politica dell’epoca), che temono di perdere l’occupazione, e coloro intenzionati a far chiudere per sempre la “fabbrica dei veleni”.

La nube tossica del 1988 e la chiusura dell’Acna

Un giornale dell'epoca riporta l'interruzione della tappa del giro d'Italia avvenuta nel 1988 da parte degli ambientalisti della Val Bormida
Un giornale dell'epoca riporta l'interruzione della tappa del giro d'Italia avvenuta nel 1988 da parte degli ambientalisti della Val Bormida

Il 23 luglio del 1988, un’enorme nube bianca fuoriesce dallo stabilimento. Quel giorno, un odore acre raggiunge tutti i comuni limitrofi e gli abitanti di Saliceto denunciano irritazione agli occhi, alle vie respiratorie e attacchi di nausea. Solo l’anno prima il Consiglio dei Ministri aveva dichiarato la Val Bormida “area ad elevato rischio ambientale”. “Il fiume Bormida non era altro che un prolungamento dello scarico – scrivono gli ambientalisti in prima fila nelle proteste – senza considerare tutte le altre sostanze tossiche rilevate. La sola presenza dell’ammoniaca, a causa della concentrazione elevatissima, rendeva impossibile la sopravvivenza dei pesci”. Se il fiume è in pessime condizioni, l'inquinamento atmosferico non è da meno. Ogni anno, le ciminiere dell’Acna immettono nell'aria oltre 2000 tonnellate di anidride solforosa, 50 chilogrammi di clorobenzene, oltre a 250 chilogrammi di benzene, una sostanza considerata cancerogena per l’uomo. Intenzionati a dare battaglia, il 2 giugno 1988, cittadini ed ecologisti bloccano persino il Giro d’Italia per far arrivare la loro voce in tutto il Paese. E ci riescono: la “fabbrica dei veleni” finisce su tutti i telegiornali nazionali.

Nel 1991, l’Acna viene assorbita da Enichem, la società petrolchimica del gruppo Eni. Negli anni successivi la produzione a Cengio si riduce progressivamente fino alla chiusura definitiva dello stabilimento avvenuta nel 1999. I 200 lavoratori rimasti finiscono in cassa integrazione.

Bonifica esemplare o fallimento colossale?

Almeno 5 milioni di tonnellate di scorie chimiche rimangono ancora nel Sin di Cengio-Saliceto (Pier Giorgio Giacchino)
Almeno 5 milioni di tonnellate di scorie chimiche rimangono ancora nel Sin di Cengio-Saliceto (Pier Giorgio Giacchino)

Dal 1998, l’area occupata dall’Acna è classificata come Sito di interesse nazionale (Sin), ossia territorio da bonificare per evitare danni ambientali e sanitari. L'intera zona, infatti, è una vera e propria “bomba ecologica” in cui permangono tonnellate di scarti di lavorazione estremamente pericolosi per la salute. Una minaccia che si trova proprio a ridosso dell'alveo del fiume Bormida. Oltre a ciò, sotto i terreni della zona A1, sui quali sorgeva l’ex-stabilimento, ci sono ancora sostanze altamente tossiche che formano una collinetta alta diversi metri. Rifiuti che rimarranno per sempre a Cengio.

Ad occuparsi della bonifica è Syndial (da poco ribattezzata Eni Rewind), la società di Eni nata nel 2003 con il compito di riqualificare le aree industriali operative e dismesse. Per mettere in sicurezza l’intera area sono già stati spesi 350 milioni di euro. Altri 11 milioni serviranno per completare l’opera. Se nell’ottobre 2010 l’allora ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, celebrava la fine della bonifica, secondo Pier Giorgio Giacchino, presidente dell’associazione ex lavoratori Acna, molto rimane ancora da fare. Giacchino, per anni protagonista della lotta per la chiusura dell’impianto chimico, definisce senza mezzi termini la bonifica “un colossale fallimento pieno di incognite”. “A vent'anni dalla chiusura dello stabilimento – chiarisce – nulla è stato bonificato. Nella zona A1 c'è una montagna tossica che può essere definita come una discarica. Non lo è nemmeno la zona A2, bonificata con ‘misure di sicurezza'. Sull'area, già certificata idonea, ben difficilmente potranno essere fondate nuove strutture produttive”.

Nelle acque sotterranee elevate concentrazioni di sostanze tossiche

L'analisi delle acque sotterranee del Sin di Cengio-Saliceto realizzate dall'Arpal e rese pubbliche dopo l'intervento del consigliere regionale del M5S Andrea Melis
L'analisi delle acque sotterranee del Sin di Cengio-Saliceto realizzate dall'Arpal e rese pubbliche dopo l'intervento del consigliere regionale del M5S Andrea Melis

Francesco Dotta, l’attuale sindaco di Cengio, pur riconoscendo una serie di errori commessi in passato nella conduzione dei lavori di bonifica, afferma: “Attualmente Cengio sotto l'aspetto ambientale non ha nulla da invidiare ai paesi limitrofi […] ed ha tutte le caratteristiche per proporsi come luogo turistico collinare, ubicato a circa mezz’ora di viaggio sia dalle spiagge della nostra riviera che dalle piste da sci delle nostre montagne”. Insomma, sembrerebbe che il peggio sia stato lasciato alle spalle. È veramente così? Nel dicembre 2016, un’analisi delle acque sotterranee del Sin di Cengio-Saliceto realizzata dall’Arpal (l’agenzia per l’ambiente della regione Liguria) certifica la presenza di elevate concentrazioni di contaminanti “univocamente riferibili alle attività del sito Ex Acna”. Ad esempio, il clorobenzene, sostanza tossico-nociva, è fino a 400 volte superiore i limiti consentiti dalla legge. Le problematiche ambientali dell’area, quindi, non sono affatto risolte. Sulla questione della bonifica interviene anche la Commissione Europea che, minacciando una procedura d’infrazione, nel marzo 2011 chiede all’Italia di “rispettare la normativa ambientale europea per garantire che il progetto di risanamento di uno stabilimento chimico dismesso, in Liguria, non ponga rischi per la salute umana o per l’ambiente”.

Eccesso di tumori e mortalità: la pesante eredità dell’Acna

L'Acna, ribattezzata la "fabbrica dei veleni"
L'Acna, ribattezzata la "fabbrica dei veleni"

Gli effetti dell’inquinamento provocato dall’Azienda di Coloranti Nazionali e Affini si misurano in centinaia di ex lavoratori morti di cancro, soprattutto alla vescica per l’esposizione prolungata alle ammine aromatiche. Secondo Giacchino, le patologie tumorali sono costate ai dipendenti Acna fino a cinque anni di vita rispetto alla media nazionale. Anche il quinto rapporto Sentieri (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) si è occupato del Sin di Cengio-Saliceto. L’analisi dei dati di oltre 37mila abitanti, sparsi nei 32 comuni interessati, mostra una tendenza all’aumento della mortalità. “Tra le cause di morte per le quali vi è a priori un’evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizione ambientale nel sito – sostengono i ricercatori – si osserva un eccesso di rischio in entrambi i generi per i tumori dello stomaco. Così come quelli del colon, anche se con stime incerte”. “All’eccesso di rischio per tumori allo stomaco – continua lo studio – possono anche aver contribuito il contesto occupazionale e quello ambientale, vista l’associazione di tali tumori con ammine e idrocarburi policiclici aromatici che risultano presenti nel sito”. L’analisi, inoltre, ha evidenziato un eccesso di mesoteliomi (tumore maligno della pleura) tra gli uomini, “attribuito a esposizioni ad amianto esperite prevalentemente nel settore dell’industria chimica e delle materie plastiche, dell’edilizia e dell’industria metalmeccanica”. “Ogni giorno nuovi ex operai si ammalano di mesotelioma pleurico da amianto. Ogni giorno ne muoiono – protestano i Cobas di Savona – noi vogliamo giustizia per gli ex operai dell'Acna di Cengio, la fabbrica della morte”.

Il Sin di Cengio-Saliceto a rischio alluvioni ed eventi catastrofici

La mappa del Sin di Cengio-Saliceto (Google Maps/Rielaborazione Roberto Meneghini)
La mappa del Sin di Cengio-Saliceto (Google Maps/Rielaborazione Roberto Meneghini)

“La domanda che occorre porsi per il futuro – avverte Roberto Meneghini dell’Associazione per la rinascita della Val Bormida – non è se la ‘bonifica’ sia soddisfacente o meno. E non è neppure se un’area sia stata o meno recuperata per un qualsiasi uso, industriale o per servizi o per finalità ‘turistiche’. Cinque milioni di tonnellate di rifiuti pericolosissimi stipati in una ammucchiata a forma di collina sprizzante percolati ed aerosol per i secoli a venire, sono in sicurezza idraulica, oppure no?”. Il rischio, secondo Meneghini, è rappresentato da possibili alluvioni, come quelle che hanno colpito la zona nel novembre del 1994 e poi ancora nel 2016. Ma il pericolo ancora più grande – sostiene l’ambientalista – deriva dalla grande diga di Osiglia, di proprietà della Tirreno Power, che si trova a soli 18 chilometri a monte di Cengio. “Ebbene, con tutti gli scongiuri del caso, perché in questa vallata vivono migliaia di persone, eventi drammatici non possono essere esclusi semplicemente ignorandoli”. Meneghini fa riferimento ad una documentazione presso la Prefettura di Savona che ipotizza un ‘evento progressivo’ in caso di rottura della diga. Una massa d’acqua che travolgerebbe in mezz’ora la collina di rifiuti tossici dell’Acna, trascinandoli con sé. Un evento catastrofico che causerebbe un ulteriore danno irreparabile all’interna Val Bormida.

Nel 2008, il ministero dell’Ambiente ha avviato un’azione giudiziaria in sede civile presso il Tribunale di Genova contro Syndial/ENI, volta al risarcimento del danno ambientale riconducibile alla gestione operativa dello stabilimento ex Acna di Cengio. La somma richiesta supera i 218 milioni di euro. Ad oggi, il procedimento è stato sospeso al primo grado di giudizio per verificare la possibilità di una soluzione transattiva sull’entità del risarcimento.

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