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Ergastolo annullato per “stress da Covid”, il padre di Lorena Quaranta: “Così me la uccidono di nuovo”

Il padre di Lorena Quaranta, uccisa nel 2020 dal compagno Antonio De Pace: “Il Covid non c’entra con l’omicidio di mia figlia, lui aveva un complesso di inferiorità”. La Cassazione ha annullato l’ergastolo del femminicida e un appello bis dovrà valutare l’emergenza pandemica come un contesto eccezionale che avrebbe avuto un peso nell’omicidio.
A cura di Susanna Picone
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La vittima e il compagno condannato per il femminicidio
La vittima e il compagno condannato per il femminicidio

La sentenza che riguarda il femminicidio di Lorena Quaranta, giovane studentessa siciliana prossima alla laurea in Medicina e uccisa dal fidanzato, l'infermiere calabrese Antonio De Pace, nel marzo del 2020, ovvero durante il lockdown per il Covid, sta suscitando molte polemiche. Il femminicidio avvenne nella villetta dove la coppia conviveva a Furci Siculo: l'uomo strangolò la compagna e, dopo aver tentato anche il suicidio, chiamò i carabinieri confessando un omicidio nato, a suo dire, da uno "stato d'ansia" causato dalla pandemia. Ed è proprio intorno al Covid che ruota la decisione della Cassazione.

"Deve stimarsi – si legge nelle motivazioni – che i giudici di merito non abbiano compiutamente verificato se, data la specificità del contesto, possa, ed in quale misura, ascriversi all'imputato di non avere ‘efficacemente tentato di contrastare’ lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell'emergenza pandemica con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale".

Critiche sulla decisione della Suprema Corte sono arrivate da più parti, anche dalla politica, e tra quanti hanno commentato c’è anche il padre della vittima di femminicidio, Vincenzo Quaranta. "Il Covid con questa storia non c'entra niente. La verità è che lui aveva un complesso di inferiorità", dice il padre di Lorena facendo riferimento al suo assassino che, secondo lui, non si sentiva all’altezza della figlia.

"Quello che è successo con questa sentenza è gravissimo – dice in una intervista al Messaggero – così la uccidono di nuovo. È stata una cosa ingiusta. Chissà se Lorena fosse stata la figlia di questi giudici". "A ottobre del 2019, Lorena gli scriveva: ‘Stai manifestando il carattere che mi fa pena…io me ne frego se sei infermiere o medico. Preferisco dire con dignità che sono la fidanzata di un infermiere che si comporta da uomo e non di un medico cafone. Io me ne frego se sei infermiere o medico. Mi riempi tanto la testa con il fatto che vuoi essere alla mia altezza e poi ti comporti come un paesano ignorante che dà colpi sul vetro’. Questo gli diceva Lorena", ha spiegato il padre, secondo cui anche il tentativo di suicidio di De Pace sarebbe stata "una messa in scena", perché un infermiere avrebbe saputo come togliersi la vita.

Lorena Quaranta
Lorena Quaranta

"È rimasto circa due ore in casa con il cadavere di mia figlia. Ha finto e in questi anni non ha mai detto una parola", ha detto ancora, specificando che l’uomo mai avrebbe chiesto neppure perdono. Ora il processo torna alla Corte d'Assise d'appello di Messina che valuterà dunque la concessione delle attenuanti generiche per l’imputato, considerando l'emergenza pandemica come un contesto eccezionale che avrebbe avuto un peso nell'omicidio.

C’è quindi un rischio di uno sconto di pena e il padre della vittima lo sa bene: "La speranza – dice – è che i giudici tornino a valutare bene tutti gli elementi, come è successo in primo grado e in appello. Sarebbe un secondo omicidio. Per me sono disumani".

“Trovo difficilmente accoglibili le motivazioni per attenuare la pena in ragioni che nulla hanno a che vedere con la relazione tra Lorena Quaranta e il suo assassino adducendo lo stress da pandemia Covid come causa”, ha commentato anche Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “La nostra preoccupazione – come Rete nazionale contro la violenza alle donne – è, nella migliore delle ipotesi, che ci sia una profonda incomprensione di che cosa sia la violenza maschile alle donne anche secondo la Convenzione di Istanbul". “La giustizia – ha detto ancora – farà il suo corso e ci auguriamo lo faccia in fretta, ma la motivazione delle attenuanti da Covid per la morte di una donna per mano maschile è un pretesto”.

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