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Entra nella camera della figlia della compagna e la violenta una volta a settimana: condannato

I fatti in provincia di Torino. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, l’uomo ha approfittato della sua posizione di autorità e della condizione di inferiorità psico-fisica della bambina, figlia della compagna, ed ha abusato di lei una volta alla settimana.
A cura di Davide Falcioni
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Immagine di repertorio
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Cinque anni. Tanto sono durate le violenze che, con una cadenza fissa e inquietante di una volta a settimana, ha dovuto subire una bambina della provincia di Torino. I fatti sono avvenuti tra il 2013 e il 2018 ma solo ieri il Tribunale ha emesso la sentenza di condanna per l'ex patrigno, difeso dall’avvocato Gianni Iacono: cinque anni e mezzo di carcere per violenza sessuale pluriaggravata.

Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, l’uomo avrebbe approfittato della sua posizione di autorità e della condizione di inferiorità psico-fisica della bambina, spesso affidata a lui in assenza della madre. Una routine perversa: una volta alla settimana si introduceva nel letto della piccola, costringendola a subire atti sessuali, tra cui toccamenti e palpeggiamenti nelle parti intime. Il pubblico ministero Livia Locci aveva chiesto una pena più severa: sei anni e mezzo di reclusione.

Oggi la vittima – che ha 19 anni – vive a Londra con la madre e i fratelli e sta cercando di costruirsi una nuova vita lontano dall'orrore del passato. Non si è costituita parte civile nel processo. A far emergere la verità è stata la madre, dopo un litigio con la figlia: la giovane, all’epoca adolescente, aveva confidato di avere una relazione con un ragazzo albanese. La reazione furiosa della donna aveva spinto la ragazza a una confessione scioccante: "Non ti preoccupare, ho già perso la verginità tempo fa… per colpa del tuo ex compagno".

Le indagini hanno acquisito come prova anche una registrazione telefonica tra la madre e l’ex compagno, effettuata dagli investigatori in presa diretta. In quell’occasione l’uomo ha ammesso parzialmente le proprie responsabilità, negando però che vi siano stati rapporti completi.

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