Eleonora, morta di leucemia perché rifiutò chemio. I giudici: “Succube delle teorie dei genitori”
Lo scorso 23 marzo Lino Bottaro e Rita Benini, rispettivamente papà e mamma di Eleonora Bottaro, la ragazza di 17 anni morta di leucemia linfoblastica acuta nell’agosto del 2016, sono stati condannati per omicidio colposo a due anni di reclusione in via definitiva. La sentenza è stata emessa dalla Corte di Cassazione, ed oggi sono state depositate le motivazioni del verdetto.
Secondo i giudici il rifiuto delle cure contro la leucemia da parte della 17enne "non fu una libera scelta che i suoi genitori ritennero di rispettare, ma un’opzione consapevolmente adottata dai genitori in prima persona, nonostante i medici li avessero informati dell’impossibilità, per la figlia, di guarire senza la chemio".
Stando a quanto accertato nel corso del processo il padre e la madre della ragazza rifiutarono di sottoporla alla chemioterapia – anche quando la possibilità di guarigione era pari all’80 per cento – in quanto seguaci del metodo Hamer, pratica antiscientifica che rinnega l'uso dei farmaci, provocando ai pazienti che lo seguono gravi ritardi nell'inizio delle terapie e trasformando così tumori curabili in forme incurabili.
Su questo aspetto Lino Bottaro e la moglie hanno sempre ribadito che quella di rifiutare le cure, suggerite dai medici di Padova, fu una scelta maturata in autonomia dalla figlia e per questo, tra i motivi del ricorso, ricordavano una sentenza del 1998 del tribunale per i minori di Venezia che "stabilì di tener conto della volontà di una bimba di soli nove anni affetta da leucemia, che aveva rifiutato la chemio in quanto troppo invasiva e debilitante".
Secondo i giudici della Cassazione, tuttavia, il caso di Eleonora "esula ogni rilevanza della tematica relativa al diritto del minore all’autodeterminazione" e questo perché "la ragazza non aveva, in ragione dell’età, la percezione della reale possibilità di morire, essendo forte di un senso di immortalità e delle convinzioni dei propri genitori, i quali sempre si erano opposti alle cure che ideologicamente rifiutavano (…) anche di quelle minimali, come un prelievo o una flebo idratante".
Insomma, la diciassettenne era "condizionata dalle decisioni dei genitori, di cui si fidava ciecamente (…) i quali le avevano detto che la chemio non era necessaria, anzi era nociva". La madre e il padre, invece, "avrebbero avuto il preciso obbligo di preservare il diritto alla vita della figlia".
Nelle dodici pagine delle motivazioni della sentenza di condanna, i giudici ricordano come essi "avevano rifiutato qualunque farmaco, opponendosi perfino alla terapia antibiotica e antipiretica e lamentandosi addirittura della Tachipirina e del Nurofen. Il padre insisteva perché venissero somministrati alla ragazza per via endovenosa altissimi dosaggi di vitamina C che, secondo la sua opinione, i medici non prescrivevano per pressioni della lobby delle case farmaceutiche".