Il 23 gennaio 2014 Elena Ceste, madre di quattro figli, scompariva nel nulla dalla sua abitazione di Costigliole d'Asti. A dare l'allarme nell'immediatezza era stato il marito Michele Buoninconti, ma il corpo esanime della donna verrà ritrovato solo dieci mesi dopo sulle rive del Rio Mersa. Dopo otto anni la giustizia ha stabilito in via definitiva che ad aver ucciso Elena Ceste è stato proprio il marito Michele Buoninconti.
L'uomo, però, non ha mai smesso di professare la sua innocenza e di richiedere lo svolgimento di nuove indagini. Ma, dopo la pronuncia del Tribunale di Asti intervenuta qualche giorno fa, sembrano spegnersi definitivamente le speranze per il pompiere di Costigliole d'Asti. Difatti l’uomo, attualmente detenuto presso il penitenziario di Alghero e condannato a trent’anni per l’omicidio della moglie Elena Ceste, è apparso fin da subito motivato ad ottenere una revisione del processo. Da tale angolo di visuale, i giudici piemontesi hanno posto la parola fine alla questione inerente le analisi di matrice genetica sugli indumenti di Elena Ceste e sugli altri effetti personali della stessa. Nondimeno, il Tribunale di Asti ha anche escluso la possibilità di esaminare i campioni prelevati dalle auto in uso alla famiglia Buoninconti.
Ma perché proprio ora la richiesta di ulteriori accertamenti? E perché il tunnel sembra orami senza uscita per il pompiere di Costigliole d’Asti?
I vestiti di Elena Ceste, la mattina della sua scomparsa, erano stati rinvenuti nel cortile dell’abitazione e repertati dalla polizia giudiziaria. Tuttavia, su di essi non era stata svolta alcuna tipologia di analisi genetica nella fase delle indagini preliminari. Al contrario, gli inquirenti si erano limitati a compiere un esame sul materiale in essi riscontrato e ritenuto compatibile con quello delle rive del Rio Mersa. Proprio il fiume che ha restituito il cadavere della donna.
Una falla del procedimento secondo la difesa, dal momento che l’autopsia non era stata in grado di chiarire con precisione la causa di morte della Ceste. Ed effettivamente è una circostanza anomala che non siano stati effettuati rilievi specifici considerando che lo screening sugli indumenti della vittima in questi casi è uno dei primi esami di laboratorio. E lo è perché in grado di fornire importanti informazioni in ordine alle persone che per ultime si sono interfacciate con la vittima stessa. Ciò proprio in virtù del principio di Locard, uno dei più utilizzati in criminalistica, che può essere sintetizzato nella massima “ogni contatto lascia una traccia”. Nello specifico, Locard ha affermato che ogni criminale lascia sul luogo del delitto una traccia e porta via con sé qualcosa.
Contestualizzando, la dott.ssa Maria Gugliuzza e il dottor Romanazzi – i medici legali nominati dal Pm titolare delle indagini – nella loro relazione tecnica avevano precisato come i resti della moglie di Buoninconti non mostrassero lesioni ossee evidenti. Di conseguenza, i due consulenti avevano ritenuto di attribuire la causa di morte alla matrice asfittica non potendo sostenere un’ipotesi alternativa. Per ragioni di completezza, deve essere anche sottolineato che sul corpo della Ceste non erano state riscontrate né ferite riconducibili all’utilizzo di un’arma da taglio né ferite assimilabili all’esplosione di un colpo d’arma da fuoco.
Di qui la decisione del pool difensivo di adire il Tribunale di Asti per ricevere l’autorizzazione ad accedere e a svolgere accertamenti su eventuali Dna terzi presenti sugli indumenti, sugli altri effetti personali della donna e su quanto campionato nelle auto in uso alla famiglia Buoninconti. Simili esami erano chiaramente volti ad ottenere nuovi elementi che, unitamente a quelli potenzialmente ricavabili dall’investigazione tradizionale, potessero aprire uno spiraglio per fondare il deposito di un’istanza di revisione processuale.
La richiesta era stata avanzata per la prima volta nel mese di luglio del 2020. In quell’occasione, il 21 luglio, era intervenuto un provvedimento di apertura rispetto alle richieste dei difensori di Buoninconti. Ma, alcuni giorni dopo, un altro provvedimento del medesimo organo giudicante aveva sottolineato che l’unica attività possibile su quei reperti era quella della ricognizione. In termini semplici non analisi, ma mera presa visione dello stato di conservazione dei reperti in parola. La questione era così stata nuovamente presentata, ma in ordine ad essa era sorta un’ulteriore questione di competenza. Dunque, la parola è passata ai giudici della Cassazione che, qualche giorno fa, hanno stabilito che la decisione inerente a quelle analisi competesse al giudice di Asti. Quindi, come effetto domino, è prontamente intervenuto il dottor Giorgio Morando del tribunale di cui si discute. E lo ha fatto rigettando ancora una volta la domanda avanzata dai legali di Buoninconti.
Tirando le fila, l’ulteriore battuta d’arresto esaurisce le possibilità per il marito di Elena Ceste di ottenere la revisione processuale. Difatti, soltanto eventuali profili genetici riconducibili a terzi avrebbero potuto fornire alla difesa le nuove prove tassativamente richieste dal codice di procedura penale per ottenere la riapertura del processo.