Edifici scolastici vecchi e poco sicuri, i presidi: “Non aspettiamo la tragedia per intervenire”
Una scuola italiana su tre ha bisogno di un intervento di manutenzione urgente. Solo la metà gode di certificati di sicurezza, poco meno del 20% dispone dello scuolabus e continuano i ritardi su digitalizzazione, servizi per lo sport ed efficientamento energetico. Gli edifici scolastici italiani riversano in uno stato di vecchiaia che spesso li rende vetusti e restano con il freno a mano tirato di fronte al rinnovamento.
È la fotografia scattata dall’indagine “Ecosistema scuola”, il report annuale di Legambiente che ha esaminato 7.024 istituti di 113 comuni, di cui 100 capoluoghi, di tutta Italia. “Da un anno all’altro, ormai, non ci sono grandi cambiamenti. Il patrimonio edilizio resta oggettivamente fatiscente”, è il primo commento a caldo di Antonello Giannelli, presidente nazionale dell’Associazione nazionale dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola (Anp), a Fanpage.it.
Presidente, questi numeri non la stupiscono?
“L’edilizia scolastica italiana non è al passo coi tempi e risulta poco adatta a essere utilizzata come sede di lezione. Restiamo vigili anche sulla carenza di certificazioni riguardanti l’agibilità e l’antincendio, ma ciò su cui dobbiamo intervenire sono l’incuria e l’inadeguata manutenzione. Pochi giorni fa è crollato l’intonaco in un laboratorio della scuola Capellini Sauro di La Spezia, rendendolo inagibile. Per fortuna non si è fatto male nessuno, ma non possiamo sempre aspettare la tragedia per poi intervenire”.
Chi dovrebbe intervenire?
“La legge sull’edilizia scolastica è competenza degli enti locali, molto diversificati nell’efficienza e nella capacità di farsi carico di queste situazioni. In buona parte, capacità inadeguate visto lo stato in cui versa l’edilizia scolastica e la scarsa efficienza energetica. Per questo permangono problemi cronici come i riscaldamenti che non funzionano d’inverno nelle scuole del Nord e l’aria condizionata che non va d’estate in quelle del Sud”.
Mancano i fondi?
“No, di fondi ce ne sono grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Piuttosto ci servono uffici con competenze tecniche che riescano a gestire queste risorse cospicue. Siamo al paradosso: abbiamo i soldi e non sappiamo come spenderli. Gli uffici competenti, tuttavia, sono sottodimensionati o privi di competenze adeguate”.
L’esecuzione dei cantieri mostra una spaccatura tra Nord e Sud.
“Tutto questo è figlio del codice degli appalti, che andrebbe applicato in modo uniforme in tutti i Paesi europei. Indubbiamente, comunque, serve uno sforzo nella semplificazione delle procedure. Altrimenti c’è il rischio di restituire i tanti fondi Ue in ragione di un’incapacità di spesa. Sarebbe una grave sconfitta per tutto il Paese e una pessima figura a livello internazionale”.
Legambiente denuncia l’assenza di trasporto scolastico, palestre e sostenibilità energetica tra i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) riguardo l’istruzione. Cosa ne pensa?
“Serve fare uno sforzo per migliorare le ipotesi di Lep, al fine di integrare anche questi parametri. I Lep, comunque, sono un’opportunità per omogeneizzare i servizi nel Paese, attualmente fortemente differenziati da zona a zona. L’autonomia differenziata può davvero creare degli standard minimi attualmente inesistenti per portarli così a valori dignitosi”.
Soluzioni?
“Bisogna puntare sulle supervisioni e i sopralluoghi a tappeto, così come semplificare le procedure nel settore dell’edilizia scolastica. Anche se, su quest’ultimo punto, è chiaro che ci sia il rischio di azioni illecite. Per questo, servono più controlli e una certa velocità di svolgimento di tutte le operazioni”.
Passiamo a una questione di rilievo per i presidi: accorpamenti degli istituti, pro o contro?
“È un fenomeno iniziato da molto tempo. In Italia i punti di erogazione degli edifici scolastici sono circa 40mila. Fisiologicamente non possiamo avere 40mila presidi. Io sono favorevole agli accorpamenti: le scelte devono comunque essere fatte in modo accurato e intelligente. Ultimamente gli Uffici scolastici regionali e le Regioni sono più attente”.
Come vede lo stop agli smartphone “a scopo didattico” in classe?
“Lo smartphone come device proficuo alla didattica aveva senso prima della pandemia visto che le scuole avevano una dotazione tecnologica sensibilmente inferiore. Adesso dispongono di tanti tablet e non vedo il bisogno di utilizzarlo. L’uso eccessivo del telefono è un problema serio che non si risolve soltanto a scuola: le famiglie per prime devono controllare i figli in modo da evitare la nascita di dipendenze”.
Qual è la sua posizione sullo ius scholae?
“Finora lo ius scholae è un pour parler. Nelle scuole già si realizza l’integrazione che per i piccoli studenti stranieri passa non solo dall’insegnamento della lingua italiana, ma anche dalla trasmissione dei valori costituzionali e dei principi della convivenza alla base del nostro Paese, il che include anche la tolleranza religiosa”.
La precarietà degli insegnanti è un fenomeno che non sembra esaurirsi. Com’è lo stato dell’arte dei presidi in Italia?
“La precarietà ci tocca molto meno rispetto ai docenti che viaggiano intorno ai 200mila precari. In questo momento è sospeso un concorso riservato e 519 scuole sono in attesa di un preside titolare, pertanto sono in reggenza, con la magistratura che dirà poi come procedere. I concorsi per gli insegnanti sono centralizzati, selezionano al ribasso, creando una situazione insoddisfacente in termini di numeri e qualità dei corsi. Per risolvere questo difetto strutturale non possiamo far altro che passare all’assunzione diretta del docente da parte della scuola, così come avviene già all’estero”.