Nel caos di commenti, indiscrezioni e prese di posizione, relativamente alle scelte in campagna elettorale del Presidente del Consiglio dimissionario Mario Monti, ci sono alcuni aspetti che meritano particolare considerazione. Al fronte compatto di quelli pronti a giurare che "l'accordo con il Partito Democratico" sia stato sostanzialmente siglato, si va pian piano affiancando il plotone dei realisti, coloro cioè che considerano la partita ancora aperta e che non escludono colpi di scena clamorosi. In pratica, è considerazione unanime che gli ultimi giorni di campagna elettorale abbiano in qualche modo segnato un cambio di rotta nella comunicazione montiana e bersaniana. Si è passati dalla non belligeranza alle frecciatine, dal rispetto reciproco allo scontro in campo aperto.
Sul terreno dei programmi, sulle ricette per il Paese, ma soprattutto sulla stretta attualità politico economica, con lo scandalo Monte dei Paschi di Siena, che rischia, o meglio rischiava, di essere la Caporetto del Partito Democratico. Un'occasione enorme non solo per il fronte dei non allineati, da Ingroia a Grillo, ma anche per Silvio Berlusconi ed "inaspettatamente" per Mario Monti. Il quale, oltre a lavarsi le mani e a rimandare al mittente le ipotesi di responsabilità da parte del Governo tecnico nella gestione della vicenda, ha sostanzialmente "gettato la palla" nel campo democratico, lasciando senza copertura proprio il segretario del PD Bersani. E sulle responsabilità nella spinosa questione Montepaschi si è consumato lo strappo decisivo, su cui hanno posto il sigillo non solo Nichi Vendola e Stefano Fassina (già ampiamente schierati contro ogni ipotesi di convergenza futura), ma anche Massimo D'Alema, uno che, a dispetto della non candidatura, conserva un peso enorme nella scelta della linea strettamente politica (soprattutto quando si tratta di alleanze).
Insomma, Bersani e Monti non sono mai stati così distanti. E, sia detto per inciso, paradossalmente si tratta di una situazione dalla quale entrambi potrebbero trarre vantaggio. Sia perché la favola dell'accordo già scritto non risultava particolarmente affascinante per il loro elettorato di riferimento e costituiva una incredibile "arma" per gli avversari in campagna elettorale, sia per un motivo strettamente "numerico". In effetti, sgombrando il campo dalla convergenza post voto, da un lato il PD può puntare a recuperare consensi a sinistra (magari in nome della governabilità) e dall'altro Monti può tornare a corteggiare il "ceto medio" e la grande borghesia conservatrice (che difficilmente avrebbe suggellato con il voto un patto con il centrosinistra). E in tal senso non suona strana nemmeno l'apertura (condizionata, ci mancherebbe) al PDL. Insomma, ad un mese dal voto, Bersani e Monti, più che alleanze future, hanno un solo obiettivo: fare cassa o limitare i danni (a seconda dei punti di vista).