É vero che in Comunità ci finiscono i reietti, senza speranza e gli abbandonati dalla società?
Ho vissuto tre giorni presso la Comunità educativa Annunciata di Como, per capire cos'è una comunità, chi ci vive, come ci arriva e cosa si impara.
Ho vissuto tre giorni in una comunità educativa perché c'è un solo modo per abbattere gli stereotipi: conoscere le storie da dentro, iniziando a farne parte.
In comunità si arriva per segnalazione dei servizi sociali. Alla base ci sono generalmente delle competenze genitoriali che mancano. Poi i ragazzini possono aver sviluppato una dipendenza da sostanze stupefacenti o alcool già in seconda o terza media, l'età si abbassa sempre più; oppure casi di dipendenza da social media – ragazzini anche di quinta elementare – oppure dipendenza da videogiochi. In comunità ci sono anche ragazzini che sono stati abusati dai genitori.
Non si arriva in Comunità per sfizio, o per gioco. Ognuno ha la sua storia e il suo zainetto di esperienze, mai banali. In Comunità si cresce, riprendendo a studiare e a lavorare. Le Comunità non portano via i figli ai genitori, li aiutano nel percorso di crescita.
La comunità Annunciata di Como è divisa in tre piani, ogni piano è caratterizzato dall'età: bambini, poi 15-18enni, e poi i maggiorenni.
I pregiudizi sono sempre falsi, e ho scoperto – facile scoperta! – che i pregiudizi che ruotano intorno a queste Comunità non fanno eccezione. Si dice che in Comunità ci finiscano "solo i poveri", e non è vero. Si dice che ci finiscano "solo gli immigrati", e non è vero neanche questo.
Chiariamo: anche se queste Comunità fossero appannaggio di soli immigrati indigenti, non verrebbe meno la loro utilità, ma semplicemente non è questo il caso. Nelle comunità educative ci si può ritrovare a vivere per motivi vari e disparati, che hanno a che fare in ogni caso con un percorso di crescita che ha incontrato degli ostacoli. Le comunità servono appunto a "rimuovere gli ostacoli" tramite un percorso comune.
Il pregiudizio più cattivo è però quello di considerare chi si trova in una comunità di questo tipo come un ragazzo "senza speranza", come qualcuno destinato a non farcela, un essere perso, che il destino ha scartato. Non è così. E' vero invece che le difficoltà avute, quando questi ragazzi riescono a superarle – e avviene molto spesso – diventano un bagaglio esperenziale unico, che permette poi loro di affrontare la vita con una maturità solida e non sempre riscontrabile con dei pari età.
Sia chiaro: nessuno nega le difficoltà di partenza, talvolta macigni enormi, ma le Comunità educative servono proprio per questo: rimuovere i macigni sul sentiero.