Non c'era il popolo di Scampia, non c'erano gli abitanti delle Vele, non c'erano (salvo rarissime eccezioni) gli attivisti e i volontari delle associazioni che operano sul territorio, non c'era il Sindaco de Magistris, non c'erano militanti e nemmeno tanti curiosi, non c'era il "popolo della rete", non c'erano quelli che con foga avevano retwittato, commentato, discusso e finanche esaltato #occupyscampia. Sotto il diluvio di piazza Giovanni Paolo II, come vi abbiamo mostrato nel nostro reportage, c'erano tanti giornalisti, gli inviati delle principali televisioni nazionali, qualche politico, il gruppetto Bros e pochi (e incazzati) abitanti di Scampia. Tutto qui, verrebbe da dire. Purtroppo.
E come se non bastasse, il giorno dopo il "flop" di occupyscampia, come da copione, ci tocca assistere anche all'apoteosi di dietrologia e propaganda, a repentini cambi di orientamento e alla fuga disordinata dal campo "perdente". E il giorno dopo tutti si scoprono realisti e "lealisti verso il mondo dell'associazionismo", disincantati e illuminati, come se il fallimento di una iniziativa del genere fosse metafora di cambiamenti epocali e mutamenti di prospettiva, o d'altro canto, "manifestazione di uno scollamento del tessuto sociale" (e via discorrendo, secondo un copione già letto decine di volte…). Uno spettacolo surreale, altro che "falò delle vanità", come pontificava qualcuno. Ed è un vero peccato, perchè mai come ora appare non rinviabile una riflessione seria e matura, senza partigianeria e propaganda. A partire però da alcune considerazioni che, a nostro avviso, appaiono davvero dirimenti.
Le ragioni di un flop (annunciato?) – Sulla questione è stato praticamente scritto di tutto in queste ore (in molti casi a ragione): incapacità di unire il fronte del contrasto alla camorra, distacco dalle realtà operanti sul territorio, poca condivisione intorno alla "causa scatenante" della mobilitazione (ancora si discute sull'esistenza o meno del coprifuoco), induzione dall'alto di un'emergenza in realtà inesistente o quasi, rigetto da parte degli abitanti di Scampia per quella che sembrava una semplice passerella mediatica, fino ad arrivare al maltempo e alle "singole defezioni". C'è un aspetto che però crediamo valga la pena di enfatizzare ed è quello che va al di là del "rapporto" fra #occupyscampia e le associazioni presenti sul territorio. Anche perchè è sembrato subito chiaro che la mediazione tra i promotori di occupy e i referenti territoriali non avrebbe portato ad una "adesione convinta", ma ad una sorta di "tregua" senza contestazioni ed imbarazzanti polemiche (ed in parte è stato, almeno fino all'ingresso in scena de L'Ultima Parola).
Quello che francamente ci ha sorpreso non è stata l'assenza dei ragazzi di Scampia e Secondigliano. In quei luoghi devi esserci sempre e da sempre per acquisire rispetto e legittimazione. Scampia non è un palcoscenico, "non è un pranzo di gala" (come scriveva qualcuno in un tweet). Entrare in quei luoghi, sia pure con intenzioni e proposte degnissime, richiede tempo, lavoro, umiltà e costanza. Anche perchè non è la forza di rialzarsi che manca (al Gridas ad esempio) ma sono compagni di viaggio, gambe disposte ad affrontare un cammino comune e braccia pronte a sostenere i compagni in difficoltà. Come con estrema pacatezza spiegavano al Gridas, paradossalmente non sono le idee a mancare, è la loro concretizzazione, il completamento di un percorso già iniziato da tempo.
Eppure, questa era (o forse è ancora) una grande occasione – Quei "compagni di viaggio" però non c'erano ieri a Scampia. Pochi ragazzi hanno dato senso ai retweet e alle condivisioni dei giorni prima con la loro presenza, nessuna associazione ha ritenuto opportuno sostenere #occupyscampia e in pochissimi si sono mossi dai "salotti dei mille distinguo e delle argute riflessioni". Un dato su cui riflettere e che probabilmente affonda le radici nell'evoluzione del concetto stesso di mobilitazione. Una mobilitazione che per il tramite del web ha acquisito forme, modalità ma soprattutto tempi estremamente differenti dal passato. E che per di più necessita di una semantica diversa, di una comunicazione in grado di far leva su concetti diversi e "nuovi" ("ma che cosa c'è da occupare?", si chiedevano in piazza); un insieme di fattori che rende estremamente complicato il radicamento sul territorio di alcune istanze (il tanto citato caso OWS ha radici ben più profonde e una piattaforma ideologico – politica elaborata e complessa).
E di contro, però, la mobilitazione convulsa e disordinata, basata su presupposti fragili e tutto sommato anche strumentali, senza alcun tipo di radicamento e sostanzialmente calata dall'alto, era riuscita ad ottenere ciò che da sempre si ritiene "vitale e decisivo" per una realtà come quella di Scampia. L'attenzione ed il frastuono dei media, un megafono unico, senza filtri e senza pressioni di sorta. Con un tweet, fosse pure partito da un equivoco di fondo e lontano da quei luoghi, si è generato un effetto che ha del clamoroso e le cui potenzialità dovrebbero essere chiare soprattutto a chi opera sul territorio. Ignorare che "non si è soli" e che si può dare forza e valore alle battaglie di una vita tramite la condivisione e la trasmissione delle informazioni è l'errore più grande e, consentitecelo, "assurdo" che rischiano di commettere le tante realtà territoriali che hanno visto la "diffusione" di occupy come una minaccia, come una invasione. E magari non sarà twitter a cambiare Scampia, forse occupy davvero era semplicemente una bolla mediatica, eppure noi continuiamo a pensare che i veri alleati della camorra siano la paura, l'indifferenza ed il silenzio.