60, 70, 80, 100. Fin dall’inizio della pandemia abbiamo sentito i numeri più disparati quando si parla di immunità di gregge, una soglia sbandierata da molti come soluzione ultima alla pandemia ma che in realtà rappresenta un concetto ben più complesso, mutevole e difficile da comprendere di quello che si pensa. Insomma, l'immunità di gregge non è "semplicemente" un numero da raggiungere né è rappresentata da una percentuale fissa che non cambia nel tempo o a seconda del luogo in cui ci si trova. È invece strettamente legata a fattori che, peraltro, potrebbero non permetterci di raggiungerla mai.
Ma perché si parla di immunità di gregge? Il concetto nasce negli anni ’30 circa con il morbillo, una malattia che generalmente ti rende immune quando guarito. Da qui la scintilla che ha portato alla teoria: esiste una percentuale minima di persone che, una volta immunizzata, impedisce la trasmissione della malattia. Attenzione: non significa che la malattia non esiste più, ma che diventa endemica, quindi il virus circola nella popolazione ma trovando meno porte aperte che ne consentono una diffusione incontrollata. Il morbillo, un virus estremamente contagioso, è ancora presente non perché l’immunità di gregge non funziona, ma perché la popolazione non è stabile. Col passare del tempo il numero di immunizzati non è lo stesso ma si modifica con nascite e morti, elementi che comportano uno spostamento della malattia attraverso la popolazione. Lo abbiamo visto anche con il Covid, che con l’immunizzazione dei più anziani si è "spostato" nei giovani.
Il lavoro sul morbillo ha portato ai primi lavori di epidemiologia e di studio delle malattie infettive, ricerche che hanno poi generato il modello SIR (suscettibili, infetti, resistenti). Il concetto è relativamente semplice: se si posizionano queste tre categorie di persone (i sani non ancora infettati, i malati e gli immunizzati) su un grafico in funzione del tempo, si nota che esiste un punto in cui il numero di infetti non sale più. Ovviamente sempre nell’ipotesi che si parli di un virus come il morbillo che, appunto, non si può ripetere più volte: un guarito dalla malattia non può riprenderla.
L’immunità di gregge è questo, ma bisogna notare che nel grafico è chiaramente visibile il fatto che circa la metà dei contagi avvengono dopo il raggiungimento della percentuale stimata: è il fenomeno dell’Overshooting, che peraltro sottolinea come i casi non spariranno da un giorno all’altro una volta raggiunta l’immunità di gregge. Sempre che si possa raggiungere. Ora, come si calcola questa percentuale? L’immunità di gregge dipende dall’R0 (il valore che indica la trasmissibilità del virus) e da una formula matematica e si ottiene quando la copertura di immunità della popolazione è pari a 1 – 1/R0 (uno meno uno fratto R0). Nel caso del morbillo, per esempio, l’R0 è pari a 10-15, quindi per l’immunità di gregge serve una percentuale di immunizzati superiore al 90%: 1 – 1/10 = 9/10 = 90%.
Queste però sono semplificazioni, soprattutto se le leghiamo al Covid: il modello dà per scontato che tutti possono contagiare tutti, l’R0 non è preciso (nemmeno per il morbillo, che studiamo da decenni), i vaccini anti Covid non generano immunità completa, R0 cambia con i luoghi e non conosciamo la percentuale esatta di immunizzati naturalmente. Ma anche, fondamentale, il fatto che a differenza del morbillo il Covid può reinfettare le persone. E poi, appunto, ci sono i vaccini.
I vaccini e l'immunità di gregge
Il primo problema del vaccino anti Covid è che qualcuno pensa che protegga al 100% dall’infezione, ma non è così, come d’altronde ogni altro vaccino. Il secondo problema è che non abbiamo un dato preciso e universale che ci dice quanto proteggono i vaccini dall’infezione. Il terzo problema è un paradosso: se introduciamo i vaccini nel modello di calcolo dell’immunità di gregge, la percentuale da raggiungere cresce. Vedetela così, come una gara tra chi è vaccinato e chi si ammala: ipotizzando che questi ultimi abbiano una protezione del 100% dalla malattia, se messa a confronto con un vaccino che protegge meno del 100% dall’infezione ci vorranno più vaccinati di immunizzati naturalmente per fermare il virus.
In questo caso al calcolo dell'immunità di gregge va aggiunto il dato relativo al vaccino. Facciamo un esempio: con un R0 di 10, il calcolo sull'immunità darebbe come risultato 1 – 1/10 = 90%. Ma aggiungendo il dato di protezione del vaccino (ipotizziamo 90%), il risultato sarebbe diverso: 1 – 1/10/.90 = 100%. Aggiungeteci le varianti e la loro più alta contagiosità e avrete percentuali in continuo mutamento.
Non solo, si potrebbero avere percentuali che superano il 100%, il che significa che anche vaccinando tutta la popolazione l’indice di contagiosità resterà maggiore di 1. Uno scenario non troppo ipotetico vista l’alta contagiosità della variante Delta, i possibili casi di reinfezione e il calo di efficacia dei vaccini nel tempo.
Significa che è tutto perduto e il virus ha vinto? No, prima di tutto perché comunque i vaccini proteggono da ospedalizzazione e morte, quindi quelle riusciamo a limitarle. E poi perché l’R0 dipende anche da come noi ci comportiamo: se a inizio 2020 c’era poca consapevolezza sui comportamenti da tenere per proteggere noi e gli altri, ora la situazione è diversa. Con distanziamento, mascherine e tutti gli altri accorgimenti che ormai conosciamo bene l’R0 si abbassa e la percentuale legata all’immunità di gregge torna a portata. Insomma, come ormai era chiaro da tempo dipende tutto da noi. Difficile però pensare di eliminare completamente il virus: è più probabile abbassare l’R0 intorno all’1.4/1.2 e farlo diventare una sorta di "influenza". Chiaramente, però, in questo caso ci sono i problemi relativi alla Long Covid che non sono assolutamente da ignorare: chi si ammala, anche se senza sintomi, rischia comunque di soffrire di problemi sul lungo termine.
Insomma, è inutile parlare di immunità di gregge come la tappa finale, così come è poco rilevante sventolare numeri sulla copertura vaccinale. Soprattutto se questo ci porta ad abbassare la guardia. Non è ancora il momento di farlo, anzi: serve attenzione e cautela per evitare che la situazione ci sfugga davvero di mano.