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“Dopo l’aborto mi hanno messa in stanza con una donna: lei stringeva il suo bambino, io niente”

In molti ospedali non esistono spazi separati per chi sta effettuando un’Ivg, ha un aborto spontaneo, e chi invece partorisce: un problema che molte donne stanno facendo presente e che a volte è causa di traumi difficili da superare. Questa è la storia di Eleonora.
A cura di Natascia Grbic
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Se avete avuto difficoltà ad accedere all'interruzione di gravidanza, o siete state trattate in modo poco dignitoso, scrivete a segnalazioni@fanpage.it. Daremo voce alle vostre storie.

"Quando ho fatto il raschiamento mi hanno messo in camera con una donna che aveva appena partorito. Lei teneva in braccio il suo bebè, io avevo avuto un aborto all'ottava settimana di gravidanza. Per me è stata come una pugnalata. Ero felice per lei, ma anche invidiosa: so che è un sentimento brutto, ma lei aveva in braccio il suo bambino, io non stavo tenendo niente". La storia che stiamo raccontando è quella di Eleonora, una donna che alcuni anni fa a Milano ha avuto un aborto spontaneo. Come già capitato ad altre donne che hanno affidato le loro denunce a Fanpage.it, anche lei è stata messa in stanza con una partoriente. Una scelta indelicata, ma purtroppo comune, che praticano molti ospedali. È successo a chi stava affrontando un'Ivg e a chi ha avuto un aborto spontaneo: nelle strutture, spesso, non ci sono spazi dedicati a chi vive questo tipo di esperienze. E, nonostante sia chiaro che debbano essere pensati luoghi separati al fine di rispettare le pazienti, in molti posti non è ancora così.

"Mi sono sposata con l'intento di fare un figlio – ci racconta Eleonora – Ma non riuscivo a rimanere incinta. Dopo alcuni anni abbiamo cominciato a fare delle indagini, e ho scoperto di avere un problema nel concepire. Ho fatto una cura di ormoni e sono rimasta incinta subito. All'ottava settimana però, quando sono andata a fare il controllo, ho scoperto che il mio bambino non aveva più il battito, si era fermato tre giorni prima. La ginecologa non sapeva come dirmelo, abbiamo cambiato stanza per provare un altro ecografo, ma il risultato era sempre lo stesso. Mi ha comunicato che avrei dovuto fare il raschiamento, a livello emotivo ero devastata".

Eleonora ha chiamato il suo medico per capire cosa doveva fare. "Mi ha detto di andare in pronto soccorso, ci sono andata e mi hanno fatto un'ecografia per confermare l'aborto. Anche lì è risultato che l'embrione non aveva più il battito, quindi mi hanno prenotato il raschiamento per due giorni dopo". Due giorni dopo, Eleonora si presenta in ospedale. "Mi hanno messo in camera con una donna che aveva appena partorito. Era lì con in braccio il suo bebè, per me è stata una pugnalata al cuore. Non è bello che mi abbiano messa lì, lo sai che in quel reparto ci sono le mamme. Ero contenta per lei ma, è brutto da dire, ero anche un po' invidiosa perché lei aveva il suo bambino tra le braccia e io niente".

"A un certo punto mi hanno anche detto che mi avrebbero spostato il raschiamento al giorno dopo ma mi sono impuntata, gli ho detto ‘no, o me lo fate oggi o io non faccio più niente, e vada come vada'. Alla fine sono riusciti a farmelo. Sono tornata a casa devastata dal dolore". Un momento già complesso e delicato di per sé è diventato per Eleonora un'ulteriore fonte di trauma.

"Dopo ulteriori cure poi sono riuscita a rimanere incinta. Una gravidanza complicata, ho avuto una minaccia di aborto a 28 settimane ed ero molto agitata. In ospedale un medico, non ricordo nemmeno la faccia perché ho voluto cancellarlo, mi ha detto: ‘signora qui le cose sono due: o la ricovero e domani la visita il suo ginecologo, oppure va a casa, e come va, va'. Come si può avere una totale mancanza di delicatezza ed empatia?'.

Da questa terribile esperienza sono passati diversi anni, ma Eleonora non è mai riuscita a dimenticarla. E, ancora oggi, fa fatica a parlarne. "È come se avessero preso un coltello e me lo avessero piantato nel cuore. Nessuno si è chiesto se fosse il caso di mettermi in stanza con una donna e il suo bambino, lo hanno fatto e basta. Io non ho detto nulla perché ho visto che il reparto era pieno e poi mi sembrava brutto verso la mia compagna di stanza. Ma sarebbero dovuti essere loro a mettermi in una stanza singola, o comunque in un reparto dedicato a questa tipologia di interventi. Quando ho letto la storia di Agata io l'ho capita benissimo e ho rivissuto ciò che è capitato a me. E ho voluto raccontare la mia esperienza per farle arrivare, anche da lontano, che non è sola".

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