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Doping per lavorare 12 ore al giorno: succede agli indiani dell’agropontino

Centinaia di indiani sikh costretti ad assumere oppio e antidolorifici per riuscire a sopportare 12 ore di lavoro nelle campagne, tra insulti e percosse da parte dei “padroni” italiani.
A cura di Davide Falcioni
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Chi credeva che la schiavitù fosse un brutto ricordo appartenente ormai ai libri di storia, almeno per quanto concerne l'Italia, forse farebbe meglio a ricredersi sapendo quello che accade quotidianamente nelle campagne dove lavorano i migranti. Il problema del caporalato non è certamente una novità, ma nell'agropontino ha acquisito proporzioni veramente inquietanti. Centinaia di indiani sikh, infatti, sono costretti a ingurgitare capsule di oppio pur di riuscire a rimanere a lavoro nei campi per oltre 12 ore al giorno. A renderlo noto è un dossier della onlus InMigrazione, che ha intervistato i braccianti della provincia di Latina. Uno di loro racconta: "Per la raccolta delle zucchine stiamo piegati tutto il giorno in ginocchio: troppo lavoro, troppo dolore alle mani. Prendiamo una piccola sostanza per non sentire dolore".

Doping, insomma. La comunità sikh dell'agropontino è la seconda più numerosa del paese e, secondo le stime della CGIL, nel territorio conterebbe almeno 12mila persone, anche se altre stime ne ipotizzano almeno 30mila. Di questi, una enorme quantità è costretta a lavorare in campagna per la raccolta di frutta e verdura. "Un esercito silenzioso – denuncia InMigrazione – di uomini piegati nei campi a lavorare a volte tutti i giorni senza pause. Raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 12 ore al giorno filate sotto il sole, chiamano "padrone" il datore di lavoro, subiscono vessazioni e violenze di ogni tipo. Quattro euro l'ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse, incidenti sul lavoro mai denunciati e "allontanamenti" facili per chi tenta di reagire".

Sopportare i ritmi di lavoro, le vessazione e talvolta le percosse non è facile. Per questo gli indiani sono costretti ad assumere massicce dosi di antidolorifici, quando non addirittura droghe, allo scopo di alleggerire la sensazione di fatica. "Una forma di doping – spiega il rapporto – vissuto con vergogna e praticato di nascosto perché contrario alla loro religione e cultura, oltre a essere severamente contrastato dalla propria comunità. Eppure per alcuni lavoratori sikh si tratta dell'unico modo per sopravvivere ai ritmi di lavoro imposti, insostenibili senza quelle sostanze". Il traffico di oppio, inoltre, è in mano agli italiani. "Viene un italiano – racconta un indiano – che porta tanta droga a gruppo di indiani che prendono per lavoro.  No buono così. Italiano prende soldi e indiano sta male. Già indiano non viene pagato dal padrone, poi dà anche soldi a italiano per droga".

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