Don Silvio e la lista di 130 donne e bambini ucraini salvati: “Una cosa grande ma anche molto normale”
"Non ho fatto altro che scrivere un annuncio su Facebook in cui cercavo un furgone per portare in salvo una nostra parrocchiana ucraina", racconta Don Silvio Caterino, mentre ricorda esattamente cosa stava accadendo un anno fa, quando la Russia invase l'Ucraina. "La solidarietà è stata molta. Nel giro di poco siamo riusciti a garantire 14 viaggi tra Italia ed Ucraina portando in salvo 13o donne e bambini che adesso lavorano e studiano in Italia".
Viaggi della speranza fatti nel silenzio, lontano dai riflettori e sostenuti da famiglie e giovani di Falzè, piccola comunità in provincia di Treviso. "Per noi è stato un grande impegno", racconta Don Silvio che aggiunge, "abbiamo fatto 12 ore di macchina, una breve sosta a Budapest e poi al confine con Vilok, in dogana, e in 15 minuti eravamo già pronti per tornare indietro. Quanto poco era il tempo a disposizione e quanta invece la sofferenza di quelle persone".
"Impegnativo certamente, ma al netto di tutto, si è trattato di uno slancio naturale. Di un aiuto assolutamente normale, nato dalla compassione che l'uomo ha per chi sta male", spiega Don Silvio Caterino, l'uomo che nei primi mesi di guerra, è riuscito a mettere in piedi una rete per salvare 130 donne e bambini ucraini.
Ora, quelle 130 persone sono sparse per la provincia di Treviso, altre hanno raggiunto i parenti di altri stati europei. Tutti lavorano, racconta Don Silvio e i bambini frequentano le scuole in Italia al mattino e nel pomeriggio, a distanza, anche le scuole in Ucraina. Quando e dove possibile.
Svitlana, insegnante ucraina che ha beneficiato della rete di solidarietà di Don Silvio, ora vive in canonica a Croce di San Donà di Piave. "Siamo grati dove siamo adesso. Almeno siamo vivi e possiamo sperare che il domani sia meglio di oggi. Vogliamo la pace. Niente di più. Qui in Italia viviamo con altre quattro famiglie e siamo estremamente grati alla rete di persone che ci da una mano".
Assieme a lei c'è anche Oleksandr: "Se penso al mio futuro, non saprei cosa fare. Ora mi trovo bene e lavoro come operaio in una fabbrica di scarpe. La mia città in Ucraina è una rovina. Non so neanche se la mia casa esiste ancora o se è stata bombardata".