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Covid 19

Disoccupati, licenziati, abbandonati: in fila per le docce. “Lavoro perso per il Covid”

Francesco, Giovanni e Walter. Alle Ciminiere di Catania, il centro congressi Le Ciminiere, di proprietà della Città metropolitana, i tre uomini attendono il loro turno per fare la doccia e andare in bagno. A gestire il servizio, destinato ai senza fissa dimora del capoluogo etneo, sono alcune associazioni e la Croce Rossa, con la collaborazione della ex provincia e il placet della prefettura.
A cura di Luisa Santangelo
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"Paura del virus? Dopo quello che mi è successo, perché dovrei avere paura del coronavirus?". Giovanni vede da un occhio soltanto. La vista dall'altro l'ha persa, racconta, dopo che alcuni anni fa lo hanno aggredito nella zona della stazione centrale di Catania. Lo hanno spintonato a terra e lì è rimasto per ore, finché qualcuno non si è accorto che perdeva sangue dalla testa e ha chiamato un'ambulanza. Adesso la notte dorme in piazza Verga, una zona più sicura: ci sono il tribunale, il comando provinciale dei carabinieri e un grande albergo. Lì le aggressioni, secondo lui, sono più difficili. La mattina, quando si sveglia, cammina fino a piazzale Rocco Chinnici e arriva alle Ciminiere, il centro fieristico della Città metropolitana. Lì, dai mesi del lockdown, la Croce Rossa e altre associazioni hanno avviato un servizio di bagni e docce.

"Ci siamo accorti che, con la chiusura di bar e parchi pubblici, non c'erano posti dove i senza fissa dimora potessero espletare i loro bisogni primari: usare un bagno e lavarsi", spiega Stefano Principato, presidente del Comitato territoriale Croce Rossa di Catania. Così è partito il dialogo con le amministrazioni pubbliche, altre associazioni e la prefettura per rendere possibile l'attività che tutt'ora è in corso, dal lunedì al sabato, dalle 9. "Anche se adesso i bagni pubblici ci sono, ci siamo accorti che le persone preferiscono comunque venire qui, anche per trovare un po' di conforto".

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In fila alle Ciminiere, in attesa del proprio turno per lavarsi e radersi, ci sono Giovanni, Francesco, Walter e Gerardo. Hanno le loro ciabatte sistemate su una rastrelliera, i volontari conoscono la taglia della biancheria che indossano: a ogni doccia, vengono loro dati un cambio di slip e calzini e un telo, quest'ultimo usa e getta, per potersi asciugare. "Se hanno bisogno di fare la barba, diamo loro anche un rasoio che devono buttare nella spazzatura davanti a noi quando hanno finito di usarlo", racconta Daniela Longo, responsabile del servizio per la Cri.

Francesco ha 50 anni e non pensava che si sarebbe mai trovato, nella vita, senza un posto dove dormire e senza i soldi per mangiare. Lavorava come banconista in un bar ("Quasi in nero", dice) e abitava in una casa in affitto. Con il lockdown della primavera 2020 è sfumato tutto: mandato a casa dal lavoro, senza ammortizzatori sociali per via di quel "quasi in nero", senza i soldi per continuare a pagare l'affitto dell'appartamento. È finito in strada senza neanche capire bene come. "Alcuni amici mi avevano parlato del fatto che c'era la possibilità di venirsi a lavare qua, così vengo tutti i giorni a farmi la doccia".

Quando il lockdown è finito, il bar in cui Francesco lavorava ha riaperto per un periodo in estate. Ma mancavano i clienti e il lavoro non c'era. L'arrivo dell'autunno e la recrudescenza della pandemia hanno fatto il resto. "Abbiamo dovuto chiudere di nuovo dopo pochi giorni". Adesso Francesco spera nel 3 dicembre: se la scadenza del decreto del presidente del Consiglio portasse la possibilità di nuove aperture, "il titolare mi ha detto che mi riprende a lavorare". Nel frattempo, "sopporto quello che la vita mi dà".

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