Uno. Non rimaniamo davanti alla televisione o ai social a vedere scorrere le notizie sempre più angoscianti. Scendiamo in strada, manifestiamo, non è vero che non serve a niente. Prima di tutto servirà egoisticamente a noi per non essere da soli di fronte alle morte e alle bombe, poi è necessario per sostenere chi si trova nel cuore del conflitto e i manifestanti che in Russia stanno scendendo in piazza subendo arresti di massa. Scendendo in piazza possiamo costruire un'alleanza per la pace e una piattaforma concreta.
Due. Restiamo umani e quindi togliamoci dalla testa le sottili o semplicistiche analisi geopolitiche, non ragioniamo come analisti muovendo le pedine su un tabellone. Dobbiamo avere ben in mente che ora c'è chi muore al fronte, chi perde la propria casa e chi è in fuga. A loro dobbiamo pensare, non alle forniture di gas o a chi ha violato per primo gli accordi di Minsk, o ancora agli effetti strategici dell'allargamento della Nato o del controllo russo sulla Bielorussia.
Tre. I morti sono sempre i nostri. A perdere la vita, a soffrire, è la povera gente, da entrambi i lati del confine, al di là di quello che c'è scritto sul passaporto. Se c'è una lezione che la storia del movimento operaio ci ha lasciato in dote per il futuro è proprio questa: le guerre le vincono solo i ricchi, noi non ci guadagniamo mai niente. I nostri interessi sono gli stessi degli ucraini e dei russi. Sono gli interessi di oligarchi e governi che divergono.
Quattro. Prepariamoci ad accogliere tutti coloro che sono in fuga dalla guerra. I confini devono rimanere aperti, nessuno deve rimanere senza cibo o acqua, al freddo lungo la strada. La popolazione civile in fuga e i disertori di ogni bandiera siano i benvenuti.
Cinque. Abbiamo già visto nei Balcani l'orrore del nazionalismo etnico negli anni Novanta. La guerra di Putin lungi dal ‘denazificare' l'Ucraina non farà che rafforzare un sentimento ultra nazionalista. Allo stesso modo in Russia darà fiato ai sogni imperiali. Costruiamo ponti di solidarietà, fratelli e sorelle, non nemici.
Sei. Non un soldato, non una base per la guerra. Impegniamoci verso i nostri governi per non partecipare in nessun modo al conflitto in corso. Rimettiamo in discussione la natura della Nato e diciamo basta alle servitù militari. Vogliamo alleanze per la pace non per la guerra.
Sette. Pace e giustizia sociale e climatica devono andare insieme. Non ci sta progetto pacifista senza un progetto di società egualitaria, che porta con sé un'idea delle relazioni internazionali improntate alla cooperazione e al dialogo. È la lezione di Aldo Capitini, Danilo Dolci e Alexander Langer che non dobbiamo dimenticare.
Otto. Pace non vuol dire debolezza. Se vogliamo lottare prepariamoci a farlo: non bastano le petizioni di principio, solo così si può davvero coltivare la speranza.
Nove. Denuclearizzazione, stop alla vendita di armamenti e alle spese militari. Un programma anti militarista e pacifista deve avere bene in mente che la guerra è industria e che deve essere riconvertita. Non domani: oggi, ricordiamocelo quando le bombe smetteranno di cadere.