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Disastro Moby Prince: “Nessuna nebbia, ci furono errori e depistaggi nell’inchiesta”

Reticenze, depistaggi ed errori nell’inchiesta ma anche una totale assenza di soccorsi che avrebbero potuto salvare vite umane. È questa la conclusione a cui è arrivata la commissione d’inchiesta parlamentare sul disastro del traghetto Moby Prince in cui morirono 140 persone.
A cura di Antonio Palma
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Dietro una delle più grandi tragedie del mare in Italia, quella del traghetto Moby Prince dove morirono 140 persone la sera del 10 aprile del 1991 non vi sarebbe stata la nebbia come si è ipotizzato per tanto tempo ma sicuramente una "sostanziale assenza di intervento" di soccorso che avrebbe potuto salvare diverse vite. È la conclusione  a cui è arrivata la commissione d'inchiesta parlamentare avviata sul caso mai risolto dello scontro in mare, al largo del porto di Livorno, tra il  traghetto della Navarma e la petroliera Agip Abruzzo. Ricostruire esattamente i fatti è stato molto arduo e ancora oggi non c'è una vero motivo che riesca a spiegare il disastro ma l'indagine parlamentare ha alzato un velo su quello che è accaduto dopo una lunga sequenza di errori nei soccorsi e depistaggi nelle indagini a cominciare dalla nebbia che in realtà quella sera non c'è mai stata.

Un comportamento che, denuncia la commissione, è proseguito anche durante l'inchiesta parlamentare, durata due anni, quando alcune persone ascoltate in audizione hanno "negato evidenze" e fornito "versioni inverosimili degli eventi". Da questo punto di vista il dito è puntato contro la procura di Livorno che per il processo di primo grado, concluso senza colpevoli, avrebbe condotto un'attività d'indagine "carente e condizionata da diversi fattori esterni". In particolare, secondo la relazione, a condizionare l'inchiesta il fatto che parte dell'indagine è stata volta dalla stessa Capitaneria di porto, cioè gli stessi soggetti direttamente coinvolti nella gestione dei soccorsi e alcuni dei quali coinvolti anche nelle vicende giudiziarie successive.

Uno dei nodi principali rilevati dall'inchiesta nel caso Moby Prince è quello dei soccorsi. Secondo la Commissione infatti molti a bordo del traghetto potevano essere salvati visto che sono morti diverso tempo dopo l'impatto e il devastante incendio. Secondo la relazione , ci sarebbe stata una "sostanziale assenza di intervento nei confronti del traghetto" da parte della Capitaneria di porto di Livorno che durante "le ore cruciali apparve del tutto incapace di coordinare un'azione" ed "era priva di strumenti adeguati, come un radar". "Dalla posizione di ritrovamento dei corpi possiamo dire che tutti i passeggeri erano stati riuniti nelle sale ignifughe e grazie alle perizie che abbiamo richiesto a due grandi esperti di medicina legale abbiamo appurato che non è vero che sono morti in 20 minuti. È insostenibile anche scientificamente. A questo punto non ci spieghiamo perché allora non sia stata fatta alcuna analisi sui corpi delle vittime" ha dichiarato il presidente del commissione Silvio Lai, aggiungendo: "I soccorsi non sono arrivati in ritardo, non sono mai arrivati".

Per quanto riguarda i pochi punti chiari della vicenda dello schianto, invece, per la commissione va senz'altro sottolineato quello della posizione della petroliera che non doveva essere in quel punto. L'Agip Abruzzo, infatti, quella sera si trovava in una zona di divieto d'ancoraggio e la sua posizione non è stata correttamente riportata nel corso delle indagini. Non solo, aveva anche delle cisterne aperte come se le stessero svuotando. Contemporaneamente c'è stata anche una deviazione di rotta del Moby Prince "per fattori interni o esterni al traghetto" che nessuno ha saputo spiegare.

Da questo punto di vista la Commissione definisce come "connotato di forte opacità" il comportamento di Eni che avrebbe dato informazioni errate sulla provenienza della nave, facendo sorgere il sospetto che il carico potesse essere stato differente da quello dichiarato. Anche qui però poco è stato accertato visto che i due armatori delle navi hanno firmato poco dopo un accordo in cui l'Eni si è assunta gli oneri dei costi dei danni della petroliera e dell'inquinamento e Navarma quelli per il risarcimento delle vittime. Una intensa che ha permesso il dissequestro dopo soli 7 mesi dal disastro e la successiva demolizione della nave.

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