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Dimesso con diagnosi di strappo muscolare, morì d’infarto: condannati medico e Asl, verseranno di 1,6 milioni

Medico del pronto soccorso e Azienda ospedaliera di Pisa sono stati condannati a risarcire i familiari del 29enne Giovanni D’Angelo con 1,6 milioni di euro dal tribunale civile. La condanna arriva 15 anni dopo il decesso dell’imprenditore: secondo quanto asserisce il tribunale, l’uomo fu dimesso con la diagnosi di strappo muscolare ma fu stroncato da un infarto in corso da 12 ore.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Un medico del pronto soccorso e l'Azienda ospedaliera di Pisa sono stati condannati a risarcire con 1,6 milioni di euro i familiari di Giovanni D'Angelo, imprenditore morto il 4 gennaio 2010 all'età di 29 anni, pochi mesi dopo essere diventato papà. Secondo quanto reso noto, il tribunale civile ha riconosciuto che il 29enne non morì per strappo muscolare, ma per infarto e 15 anni dopo il fatto l'Aou Pisa è stata condannata insieme al medico del pronto soccorso al risarcimento.

L'uomo, residente a Cascina, fu dimesso dall'ospedale con la diagnosi di uno strappo muscolare quando invece era stato colpito da un infarto che ne provocò la morte poche ore dopo. Secondo quanto scrive Il Tirreno, il giovane era entrato in ospedale a Pisa in codice rosso e al pronto soccorso venne sottoposto a triage con assegnazione del codice verde. Il medico che lo visitò, secondo il quotidiano, asserì che si trattava di dolore muscolo-scheletrico da curare con somministrazione di antidolorifici.

I dolori alla parte sinistra del torace continuarono anche dopo e l'imprenditore morì qualche ora dopo a causa di un infarto in corso da almeno 12 ore secondo quanto emerso dall'autopsia.

I familiari hanno tirato in causa l'Aoup e il medico del pronto soccorso mentre in tribunale la discussione si è basata sulla valutazione del tracciato cardiaco. Il giudice ha in parte rigettato le conclusioni dei consulenti tecnici d'ufficio che si sono basati, nel redigere la propria perizia, in gran parte sulle dichiarazioni degli stessi sanitari coinvolti nell'assistenza. Per il giudice, non era convincente il fatto che la vittima non avesse riferito la familiarità a malattie cardiache, come invece aveva fatto con la prima dottoressa che lo aveva visitato.

La sentenza civile di risarcimento stabilisce un importo di 1,6 milioni per i familiari.

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