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“Deve tornare a casa”: l’appello a Meloni della madre di Alberto Trentini, cooperante detenuto in Venezuela

La madre di Alberto Trentini, il cooperante veneziano detenuto in Venezuela: “Abbiamo scritto anche alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per chiederle di percorrere tutte le strade per porre fine il prima possibile alla detenzione di nostro figlio. Aspetto fiduciosa una sua risposta”.
A cura di Davide Falcioni
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"Dopo questi 100 giorni, sono con il cuore in mano a chiedere a ciascuno di fare tutto il necessario con la massima urgenza affinché Alberto possa tornare a casa prima che questa esperienza segni irrimediabilmente la sua vita nel corpo, nella mente e nello spirito". È una supplica piena di dolore e speranza quella lanciata da Armanda, madre di Alberto Trentini, il cooperante italiano detenuto in Venezuela dal 15 novembre scorso. In una lettera inviata a Repubblica, Armanda Colusso Trentini ha chiesto alla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni un intervento più deciso per riportare il figlio in Italia.

Se potessi sentirlo, gli direi che lo pensiamo costantemente, di resistere, di non mollare mai e di avere fiducia nel nostro impegno a riportarlo a casa. Gli racconterei della vicinanza e della solerzia commovente di amici vecchi e nuovi che si stanno adoperando per la sua liberazione. Abbiamo scritto anche alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, per chiederle di percorrere tutte le strade domandando se necessario il contributo di istituzioni anche di altri Paesi per porre fine il prima possibile alla detenzione di nostro figlio. Aspetto fiduciosa una sua risposta: aiuterebbe ad alleggerire la mia ansia, e renderebbe l’attesa per il ritorno di Alberto più sopportabile nella speranza che anche che sia anche il più breve possibile.

Giorgia Meloni è una madre. E lo sa. Comprendo la complessità della situazione, ma mi aspetto che il nostro paese prenda le decisioni urgenti e necessarie per riportare Alberto a casa nel più breve tempo possibile. Alberto è un cittadino italiano, un operatore umanitario che si trovava in Venezuela per svolgere con professionalità e dedizione il suo lavoro. Un’attività che, oltre a portare aiuto concreto, rappresenta uno degli strumenti più importanti nelle relazioni internazionali per costruire ponti di solidarietà e cooperazione tra i Paesi. Dopo questi 100 giorni, sono con il cuore in mano a chiedere a ciascuno di fare tutto il necessario, con la massima urgenza, affinché Alberto possa tornare a casa prima che questa esperienza segni irrimediabilmente la sua vita nel corpo, nella mente e nello spirito. Lui è il nostro unico figlio la nostra ragione di vita.  Con speranza e fiducia.

La vicenda di Trentini si complica di giorno in giorno. Dopo due mesi di silenzio, un mese fa il Venezuela aveva offerto la prova che il cooperante è vivo e detenuto in condizioni discrete in un penitenziario dei servizi segreti di Caracas. Da quel momento, si sono intensificati i contatti tra i due Paesi, con l’invio di agenti dell’Aise in Sudamerica per cercare una soluzione. L’ipotesi su cui si lavora è quella di ottenere un’espulsione, ma la strada appare ancora in salita.

La questione, infatti, si inserisce in un delicato contesto geopolitico: il governo di Nicolás Maduro chiede un riconoscimento ufficiale da parte dell’Italia e di altri governi europei in cambio della liberazione dei detenuti stranieri. Una condizione che l’Occidente considera al momento inaccettabile. Per questo, a livello diplomatico, si cerca un’azione dell’Unione Europea, sul modello di quanto già fatto dagli Stati Uniti con la nomina di un inviato speciale.

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