Denunce, autodifesa e porto d’armi: niente ha salvato Debora dal femminicidio
Aveva denunciato lo stalking, le minacce, l'incendio del suo locale, aveva preso lezioni di kickboking e si era fatta rilasciare un porto d'armi, ma è stato tutto inutile. Debora Ballesio, 40 anni, si era trasformata in una specie di Nikita, ma questo non è servito. È stata uccisa mentre si esibiva al karaoke in una serata organizzata da lei, in un momento di svago, di gioia, un momento in cui aveva abbassato la guardia, davanti a una platea di bagnanti, al lido Aquario a Savona. È stata colta di sorpresa dal suo ex marito Domenico Massari, una vita ai margini della legalità e una condanna a 3 anni, già scontata, per stalking. Debora ha investito tutte le risorse psicologiche, finziarie, legali, che aveva in suo possesso per difendersi dal suo stalker, ma questo non è bastato. E oggi lui se ne vanta, tronfio, davanti al carcere di Imperia dove è andato a costituirsi annunciandosi con tre colpi di pistola, a mo di fanfara. "Non mi pento" dice ancora colmo di odio, "mi dispiace per gli innocenti coinvolti".
Condannate a morte
Il messaggio che passa all'indomani di questo delitto è che non esistono misure sufficienti per impedire a uno stalker di uccidere la vittima. Lui ti braccherà, ti tormenterà, ti troverà e tu non potrai fare niente perché può sorprenderti in qualunque momento, quando hai la guardia abbassata. Che sia al supermercato mentre fai la spesa, mentre passeggi con un'amica, quando rincasi di sera o mentre sei in un luogo pubblico, a cielo aperto, in compagnia di amici, non hai scampo. E la privazione della libertà, della semplice gioia di goderti un momento di svago e di convivialità, è il peccato più grave dello stalker, e quello di più si compiace. Si nutre della paura, dell'incertezza in cui sprofonda la vittima, dell'ansia con cui la costringe a vivere ogni aspetto della sua esistenza, anche il più banale, è questo quello di cui uno stalker si nutre. E noi non facciamo niente per impedirglielo.
Il vero perdente
Questo messaggio non corrisponde al vero. Certo c'era un modo per salvare Debora, bisognava tenere in prigione il suo persecutore, che di segni di pericolosità sociale ne aveva dati parecchie che non ha certo fatto del male solo a lei. La memoria di quanto accaduto durerà le canoniche quarantottore e Massari, reo confesso, patteggerà una pena. Scoprirà presto in cella che aver eliminato la vittima non farà di lui un uomo più forte, né più potente. Alla fine, al netto di quelle cinque pallottole, non è vero che ha vinto lui. Ha vinto Debora, è morta mentre cantava, mentre viveva. Nonostante tutti i crimini messe in atto da suo marito per essere tragicamente al centro della sua vita, lei non gli ha mai regalato la sua libertà.