“Dentro Shalom c’è un clima di terrore. Ai carabinieri ho detto il falso”: il racconto di un ex ospite a Fanpage.it
Dopo l’inchiesta di Backstair sulle violenze fisiche e psicologiche nella comunità Shalom di Suor Rosalina Ravasio, alla redazione di Fanpage.it sono arrivate decine e decine di segnalazioni di ex ospiti.
Tra questi c’è Matteo, nome di fantasia, che entra in comunità da minorenne, per problemi comportamentali: “Ero violento, avevo preso delle denunce per aggressione ad altri ragazzi e i miei genitori, insieme al tribunale dei minori, hanno deciso di portarmi in comunità”. In comunità, Matteo ci arriva tramite un parente avvocato che consiglia la struttura di Palazzolo sull’Oglio, pur avvertendo i genitori del giovane che si trattava di una realtà molto dura.
Il racconto: a Shalom tutta la notte svegli
Dopo diversi colloqui, Matteo entra nel 2012 e resta in comunità per quattro anni. “Ho fatto il percorso come tutti. Voi siete riusciti a vedere delle cose, soprattutto nella parte femminile, ma nella parte maschile succede di peggio”, ci spiega l’ex ospite. Matteo ci parla delle punizioni che ha subito e ha visto subire e ci spiega nel dettaglio come funziona la punizione della notte: “Le persone che chiedono di andare a casa vengono mandate in questi laboratori. Come dicono anche gli altri che avete intervistato, si passa la notte lì. Mentre gli altri vanno a dormire, tu resti in quel laboratorio per altre ore. Il numero di ore lo decide Suor Rosalina. Di solito, vanno a scalare, quindi per i primi due-tre giorni stai sveglio notte e giorno e poi magari ti manda a dormire alle tre di notte, ma ti svegli prima degli altri. Questo perché non puoi avere contatti con gli altri ospiti. Devi restare isolato da solo in quel laboratorio”. Come spiega ancora Matteo, la permanenza dentro Shalom dipende da come ti comporti: “Se accetti la punizione e stai tranquillo, la punizione è quella. Se invece cominci a ribellarti, lì si passa alle mani”.
Un clima di terrore
Matteo era in comunità quando la procura di Brescia aveva avviato delle indagini per appurare presunti maltrattamenti dentro la Shalom. “Nel 2013 c’è stata una mega retata, che poi non è servita a niente”. I carabinieri in quel frangente interpellano uno per uno tutti gli ospiti della comunità: “Mi hanno chiesto se all’interno della struttura avessi mai visto maltrattamenti, se io stesso fossi stato vittima di violenze, se avessi la libertà di andare via”. L’ex ospite, però, spiega che le condizioni non gli permettevano di sbilanciarsi e di dire la verità: "Quasi tutti abbiamo negato. Perché sapevamo bene quello che sarebbe successo poi. E, infatti, le persone che hanno denunciato, quando i carabinieri sono andati via, sono state prese dai vecchi e punite”.
Su oltre duecento ospiti, solo in due riescono a denunciare alle forze dell’ordine lo stato delle cose dentro la comunità. “Non è venuto nessuno a dirci che dovevamo negare, ma era il clima che c’era a spingerci a non parlare. Tutti sapevamo perfettamente che se avessimo detto qualcosa, l’avremmo pagata cara”. Come testimoniato anche da altri ex ospiti della Shalom che Fanpage.it è riuscita a raggiungere in questi mesi, un sentimento molto diffuso nella comunità di Suor Rosalina Ravasio è la paura di finire sottoposti a punizioni sempre più pesanti: “Lì il clima è completamente di terrore”.
La paura più grande: gli psicofarmaci
Matteo racconta che sin da subito, appena entrati, ci si rende conto che qualcosa non va: “Dal momento che entri incominci a vedere che è tutto nascosto, nel senso che non puoi sapere, non puoi capire. Vedi la gente che è lì da otto, nove, dieci anni e ti chiedi che cosa stiano a fare ancora lì e vedi poi ragazzi maggiorenni che non possono andare via”.
Matteo conferma quello che viene denunciato nell’inchiesta di Fanpage.it e parla dell’uso smodato di psicofarmaci. “Mi è capitato di vedere più volte dei ragazzi con cui parlavo, ragazzi normali, nel giro di 24 ore andare in giro con il collo storto per la quantità di psicofarmaci presi. Lì sei terrorizzato, perché sai che se fai una mossa sbagliata, puoi finire come loro”. Quella della somministrazione di psicofarmaci, per Matteo, è la “paura più grossa”. “Una volta che loro riescono a farti prendere gli psicofarmaci – in quantità elevate – fanno di te quello che vogliono”. Gli effetti di cui ci parla questo ex ospite sono gli stessi che abbiamo visto sulle ragazze della comunità durante il periodo di infiltrazione nella Shalom: "Non riesci neanche più a parlare, sei lì che sbavi, diventi un mezzo zombie”, ci racconta ancora Matteo.
Il tentativo di fuga
A 18 anni Matteo tenta la sua prima fuga, ma non finisce come spera. “Ero convinto che ci fosse un passaggio vicino una rete, passaggio che in realtà non c’era. Quindi sono rimasto bloccato. In quel periodo nevicava, allora ho preso dei sacchi della spazzatura e me li sono messi addosso, sperando di passare inosservato. Mi sono accovacciato lì e mi si è accumulata addosso un po’ di neve. Sembravo un sacco della spazzatura e per questo non riuscivano a trovarmi. Poi alla fine un ragazzo tra quelli che mi cercavano ha puntato una lampada e ha visto una scarpa che spuntava sotto ai sacchi”.
Quello che succede dopo è quello che Matteo temeva: “Mi hanno portato in laboratorio e lì sono rimasto due mesi. Le prime notti senza dormire e poi a scalare: alle tre andavo a dormire e mi svegliavo alle sei. Così per due mesi”.
Matteo ha visto altri ragazzi subire delle violenze fisiche, ma lui non le ha mai subite direttamente: “Sono stato furbo. Provavo a fare le mie cose, per esempio scappare, ma una volta che mi prendevano non mi mettevo a fare il matto. Me ne stavo lì tranquillo, accettavo la punizione e una volta che era finita cercavo di organizzare qualcos'altro”.
Il dramma di tutti: non essere creduti dalla famiglia
“Ho rivisto i miei genitori dopo sei mesi. Ai loro occhi in quel momento ero un agnellino, perché un posto del genere ti piega. Ho provato a spiegare loro quello che vedevo, quello che succedeva lì dentro, ma non mi hanno creduto. Questo è il dramma di tutti. I genitori pensano che i figli raccontino bugie per poter essere portati via”. Dietro, come spiega Matteo, c’è una pressione da parte della comunità, che porta i genitori a credere che i loro figli mentiranno pur di uscire. “Dopo un paio d’anni ho riprovato ad andare via. Ero maggiorenne, sono andato al cancello e ho chiesto di andare via. Quel giorno, gli operatori hanno chiamato i miei genitori e hanno detto ‘guardate, c’è vostro figlio che ha detto che vuole uscire dalla comunità, vuole ricominciare a drogarsi, vi vuole mettere le mani addosso’. Fanno questo terrorismo psicologico ai genitori, che poi scrivono una mail – che è una lettera che loro ti portano – in cui dicono che se provi a uscire da lì, sei per strada perché loro non ti rivogliono a casa. Questa è una prassi”.
Nonostante sia uscito da qualche anno, questo ex ospite ricorda perfettamente quello che ha visto e subito dentro la comunità di Suor Rosalina: “I vecchi, nei casi più gravi, andavano addirittura a punire le ragazze: menavano le ragazze che davano problemi, ma sempre su indicazione della suora”. Matteo è rimasto colpito da quello che l’inchiesta di Backstair ha mostrato e denunciato: “Quello che siete riusciti a riprendere lì è tanto, perché nessuno era mai riuscito a riprendere così da vicino quello che succede in quella comunità, ma vi assicuro che c’è tanto, tanto altro”.