Delitto Nada Cella, polizia e carabinieri alla seconda udienza del processo: “Indagammo senza comunicare”
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Si è tenuta la seconda udienza per il processo relativo all'omicidio di Nada Cella, uccisa il 6 maggio del 1996 nello studio del commercialista Marco Soracco per il quale lavorava. Per la morte della giovane segretaria è accusata a distanza di 29 anni Annalucia Cecere, ex insegnante che era stata indagata a seguito di una telefonata anonima poi archiviata e il cui caso è tornato in tribunale dopo la riapertura del caso nel 2021.
Sono accusati di favoreggiamento il commercialista Marco Soracco e la madre, Marisa Bacchioni: secondo gli inquirenti, infatti, Soracco avrebbe detto a un cliente che Nada "era stata aggredita" mentre alle autorità avrebbe parlato inizialmente di un malore. Stando a chi indaga, il commercialista avrebbe visto Cecere sul luogo del delitto ma l'avrebbe coperta per anni avvalendosi anche dell'aiuto della madre. Tutto per "non far uscire un segreto" del quale anche Nada era a conoscenza.
In aula davanti alla Corte d'Assise sono apparsi i poliziotti che all'epoca indagarono sul fatto e quelli che hanno ripreso il caso nel 2021. L'ex commissario di Chiavari, Pasquale Zazzaro, ha parlato delle indagini condotte parallelamente da polizia e carabinieri nel 1996. Il tutto, sempre secondo quanto da lui raccontato, sarebbe avvenuto senza alcun coordinamento.
In commissariato non avrebbero quindi mai saputo dei bottoni trovati a casa di Annalucia Cecere dai militari dell'arma, simili a quelli sulla scena del delitto. La donna fu iscritta al registro degli indagati già nel '96, ma la sua posizione era stata presto archiviata. Di una mancata comunicazione con i carabinieri ha parlato anche Giuseppe Gonan, a capo della squadra omicidi della Mobile di Genova.
E Gonan ha raccontato di aver provato a parlare anche con padre Lorenzo, allora parte di un convento di Chiavari. L'uomo oppose alle domande della squadra omicidi il segreto confessionale, senza quindi permettere gli approfondimenti sulle verità di una parrocchiana che diceva di conoscere alcune verità sul delitto.