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Delitto di Via Poma: forse il sangue ritrovato nell’ufficio non appartiene a Raniero Busco

Ulteriori ombre sul giallo di Via Poma: il medico legale Angelo Fiori ha dichiarato di essere molto colpito dal fatto che sono state considerate ininfluenti i referti da lui prodotti sulle tracce ematiche ritrovate nell’ufficio in cui è stata uccisa Simonetta Cesaroni. Le macchie di sangue, per il professore, non appartengono a Busco, in quanto appartenenti ad un gruppo sanguigno differente.
A cura di Daniela Caruso
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Delitto di Via Poma: forse il sangue ritrovato nell'ufficio non appartiene a Raniero Busco

Il 24 novembre parte il processo di appello per Raniero Busco, condannato a 24 anni per l’omicidio di Simonetta Cesaroni. I legali dell’uomo, Franco Coppi e Paolo Loria, depositano una lettera di uno dei medici legali che si occupò, al tempo, di analizzare in laboratorio le tracce biologiche ritrovate sulla porta dell’ufficio di Via Poma, dove la giovane fu trovata assassinata. Nel documento è esplicitato che quelle tracce ematiche non appartengono né a Busco, né alla Cesaroni, e che, conseguenzialmente, appartengono al vero assassino di Simonetta.

Questo è quanto rilevato dal medico legale Angelo Fiori, il quale si è detto “molto colpito” dalla sentenza del delitto di Via Poma, in quanto “i dati probatori di mia diretta conoscenza erano tali da mettere in serio dubbio le conclusioni della Corte”. La traccia di sangue di gruppo A, ritrovata sulla porta e sul telefono, nella sentenza di condanna, è stata considerata ininfluente, nonostante Raniero e Simonetta avessero un gruppo sanguigno diverso, appartenente alla tipologia ‘o’. Il professor Fiori si domanda, dunque, perché, in sede di processo, non è stato ascoltato e, soprattutto, che fine avessero fatto gli accertamenti da lui effettuati sul luogo dell’omicidio. Al tempo, come spiega Fiori, “Esaminammo il sangue di varie persone, anche offertesi spontaneamente. Tra queste Busco, che è di gruppo zero”. Nella sentenza l’analisi effettuata da Fiori è stata appena accennata. Quello che vuole far emergere il medico è che nella stanza “gli assalitori presenti fossero due e che comunque uno soltanto si è ferito, ma non Busco!”.

Le tracce di saliva (o presunte tali) ritrovate sul corpetto e sul reggiseno di Simonetta, sono state ricondotte a Busco, anche se si è spesso dibattuto sul fatto che non vi era l'assoluta certezza che si trattasse realmente di liquido salivare. Si ipotizzò, dunque, che nell’azione omicidaria, l’assassino avrebbe dato un morso alla ragazza, prima di ucciderla. Anche il Generale Garofano, che allora era perito della Procura, disse che quelle tracce furono identificate come saliva, solo mediante un ragionamento logico, basato sull’ipotesi della morsicatura. In realtà, Busco avrebbe potuto rilasciare il proprio Dna sul corpo di Simonetta, in un precedente incontro avvenuto il sabato antecedente l’assassinio.

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