Delitto di Lecce, come si è arrivati all’arresto: storia di un’indagine durata 7 giorni
"Andrea, no!". Le prime indiscrezioni sul delitto di Lecce, il duplice omicidio dei fidanzati, Daniele De Santis ed Eleonora Manta lo scorso 22 settembre, riguardavano proprio il nome del killer gridato da Eleonora nella lotta con l'assassino. Gli inquirenti sono partiti da lì, da quell'elemento testimoniale che sembrava illuminante e che aveva guidato alcuni interrogatori subito dopo i fatti.
Il delitto e la pista passionale
Eleonora Manta e Daniele De Santis, entrambi 30enni, sono stati assassinati nella casa in cui erano andati a convivere, in via Montello a Lecce. Eleonora, Elly, funzionaria all'Inps, aveva postato su Instagram una story in cui si mostrava nel gesto di apprendere un quadro con la didascalia ‘work in progress'. La loro convivenza, che durava da cinque anni nel solo weekend, era iniziata da poche ore quando l'assassino si è presentato. Nel condominio in via Montello 2, dalla casa dell'arbitro Daniele De Santis che fino a un mese prima era un B&B, si udivano rumori assordanti, urla disperate. "Pensavamo fosse scoppiata una bombola di gas", spiegano alcuni vicini. Tutti comprendono che quella che sta andando in scena non è una lite, per quanto violenta, ma non c'è tempo d'intervenire. Sette, otto minuti ed Eleonora e Daniel, ricorsi dal killer armato di pugnale, sono già morti. Quando gli inquilini accorrono sul pianerottolo, hanno solo il tempo di vedere, sotto la luce fioca delle scale, un giovane uomo incappucciato che fugge. Poi la chiamata al 112, i soccorsi inutili e il sopralluogo dei carabinieri.
Cinque biglietti insanguinati
Mentre l'attenzione dei media si concentra sul misterioso ‘Andrea' il sopralluogo sulla scena criminis dà i suoi frutti: una manciata di biglietti di carta, cinque, per la precisione, vengono repertati come prove. Contengono la mappa del percorso tracciato dal killer per eludere le strade videosorvegliate e alcuni appunti sugli strumenti da utilizzare e l'agenda del delitto, quello che gli investigatori definiranno il ‘cronoprogramma', ovvero la linea temporale del killer: dal tragitto da seguire fino alla fuga, passando per l'azione omicidiaria, pianificata in ogni dettaglio. Non solo, quello che in questa fase l'opinione pubblica non sa è che l'intento dell'assassino, prima di uccidere le vittime con un coltello da caccia, era quello d'immobilizzarle e torturale. A questo dovevano servire, infatti, le fascette stringitubo ritrovate sulla scena, senza che l'assassino le abbia usato. Non ci è riuscito, sorpresi e aggrediti Eleonora e Daniele si sono difesi con tutte le loro energie, non gli hanno permesso di portare in scena il suo rituale di crudeltà.
L'immagine del killer nelle telecamere
Nei giorni successivi l'attenzione di Tv e giornali si concentra su un altra prova: l'immagine, ottenuta da una delle videocamere di sorveglianza, di quello che si ritiene essere il killer. Cappuccio, guanti e zaino giallo, l'assassino è stato ripreso dall'unica videocamera che erroneamente non è stata calcolata nel percorso. L'immagine è sfocata ma consente d'individuare alcuni parametri: età (approssimativa), altezza, corporatura. È un primo identikit con cui confrontare l'immagine del sospettato, quando ce ne sarà uno. L'autopsia, effettuata in tempi rapidi dai medici legali, restituisce intanto un quadro agghiacciante: quasi cinquanta coltellate hanno straziato i due corpi. Trenta a Eleonora, quindici a Daniele sembrano indicare Elly come vittima preferenziale del killer.
L'arresto
Intanto i giorni passano, i TG parlano del rompicapo del giallo di Lecce. Esattamente sette giorni dopo i fatti arriva la comunicazione dell’arresto da parte del Procuratore Capo di Lecce, Leone De Castris: il presunto killer dei fidanzati di Lecce è stato fermato. Si tratta di Antonio De Marco, 21 anni, di Casarano, ex affittuario del B&B. De Marco, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe premeditato il delitto almeno dieci giorni prima e lo avrebbe ‘annunciato' con un post Facebook dal significato sinistro, alla luce di quanto accaduto. "Un piatto da servire freddo, è vero che la vendetta non risolve il problema, ma per pochi istanti ti senti soddisfatto". Sotto interrogatorio Casarano ha confessato: "So che ho fatto un cavolata. Loro erano troppo felici, mi è montata la rabbia".