Delitto Chiara Poggi, torna a parlare Stasi: “Io prigioniero, come Enzo Tortora”
Alberto Stasi è rinchiuso nel carcere di Bollate dallo scorso 12 dicembre scorso, dopo che la Cassazione lo ha condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Per la giustizia è lui l’assassino nel delitto di Garlasco. Ma Alberto non si sente un detenuto, bensì un “prigioniero”, come ha fatto intendere nella lettera scritta al Quotidiano Nazionale. “Non è facile per un innocente che attendeva i giorni della sentenza con la speranza di ritornare libero, entrare in carcere. Sto cercando di inserirmi nella realtà carceraria. Il lavoro svolto da educatori, volontari e direzione penitenziaria è encomiabile. La vita di un detenuto non è solo una condizione fisica, ma è anche (e soprattutto) mentale: il corpo può essere ristretto, la mente no. Non mi sento un detenuto. Mi sento un prigioniero”, scrive.
Per Stasi la sua condanna era cosa già scritta, visto che giornali e media avrebbero condizionato le sentenze dei giudici. “Io come Sacco, Vanzetti e Tortora”, spiega il 32enne, parlando di “perniciosa spettacolarizzazione”, citando il commento del procuratore generale in Cassazione: “I fatti e le carte hanno sempre provato la mia innocenza e le nuove perizie fatte l’anno scorso avevano rafforzato questa verità”, prosegue. “Questo era il processo; io ho sempre saputo di essere innocente. Non nascondo di avere temuto l’assurdo epilogo che oggi sto vivendo, visto l’incomprensibile iter processuale che ho dovuto vivere”. Quindi quel paragone che fa discutere: “In situazioni come queste, le persone vengono esibite come trofei alzati al cielo dopo una vittoria. È sempre stato così e sempre sarà, da Sacco e Vanzetti a Tortora”.
Poi guarda al passato: “Questi otto anni mi hanno lasciato moltissime cose che mi porterò sempre dentro: la perdita di Chiara, con cui avrei voluto una vita insieme, la morte di mio padre, che è sempre stato al mio fianco, le tante difficoltà e ingiustizie, non ultimo l’ allontanamento da mia mamma, che ora si ritrova da sola. Però in questi giorni tra tutti i miei pensieri ne prevale uno: un forte dubbio di non vivere in uno Stato di diritto” conclude Stasi.