video suggerito
video suggerito
Storie di italiani all'estero

“Dall’Italia alla foresta amazzonica, vi racconto la mia vita nella comunità waorani”: la storia di Sara

Sara Pangione ha 26 anni, è nata e cresciuta in Italia ma da circa un anno vive nella foresta amazzonica ecuadoriana in una comunità indigena, i Waorani. “La mia non è stata una scelta di getto ma il frutto di un percorso e di una relazione con un ragazzo di questo territorio. Le persone della comunità sono diventate la mia famiglia”, ha raccontato a Fanpage.it.
A cura di Eleonora Panseri
255 CONDIVISIONI
Sara Pangione, la 26enne italiana che vive nella foresta amazzonica ecuadoriana.
Sara Pangione, la 26enne italiana che vive nella foresta amazzonica ecuadoriana.
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Sara Pangione ha 26 anni, è nata e cresciuta in Italia, viene dai Castelli Romani, ma da circa un anno vive nella foresta amazzonica ecuadoriana in una comunità indigena, i Waorani.

"La mia non è stata una scelta di getto ma il frutto di un percorso e di una relazione con una persona di questo territorio. – ha raccontato a Fanpage.it – Io e il mio fidanzato ci siamo conosciuti per caso, quando non conoscevo così bene i Waorani e non avevo idea di dove lui vivesse".

I Waorani sono un gruppo di nativi americani che abitano nella foresta dell'Ecuador. Il fidanzato di Sara, con cui sta da circa due anni, è uno di loro e la madre è leader della comunità. La 25enne, dopo un lungo percorso, oggi aiuta il compagno che ha creato una fondazione per promuovere il turismo sostenibile nella comunità e altri progetti.

In più la ragazza racconta la sua esperienza sui social per sensibilizzare sul tema dei diritti delle popolazioni indigene e della natura. "Le persone della comunità sono diventate la mia famiglia, nutro un profondo rispetto per loro", ha aggiunto.

Immagine

Come sei arrivata nella foresta amazzonica?

Dobbiamo tornare a circa tre anni fa, quando mi sono laureata in "Cooperazione internazionale e sviluppo" e ho deciso di partecipare al bando per il Servizio Civile Universale che permette di fare esperienze di volontariato in tutto il mondo.

SEI UN/UNA ITALIANO/A ALL'ESTERO E VUOI RACCONTARCI LA TUA STORIA? CLICCA QUI

Ero sicura di voler andare in Sudamerica ma non sapevo bene dove. Quindi, ho scelto il progetto che mi piaceva di più, anche per capire se il percorso che avevo intrapreso fosse quello giusto. Così sono arrivata a Quito, capitale dell'Ecuador, per partecipare a un progetto educativo in cui offrivo supporto a bambini che venivano da contesti di violenza e povertà estrema.

Nel 2022 sono arrivata qui e dopo qualche mese ho conosciuto per caso il mio fidanzato. Anche lui studiava a Quito e ci siamo innamorati. Da lì ho cominciato a frequentare la sua comunità, per conoscere meglio la famiglia e gli altri membri.

Fin da subito pensavo di voler vivere con lui, di rimanere in Ecuador, solo che finito il mio progetto non avevo alternative. E, contrariamente a quanto mi dicono sui social, non vengo da una famiglia ricca. Ho sempre lavorato per mantenere gli studi.

Sara Pangione
Sara Pangione

A quel punto cosa è successo?

Ero un po' in un limbo, non sapevo se tornare in Italia, se restare. Ma il destino ha voluto che uscisse un nuovo bando per i Corpi Civili di Pace e sono stata presa per il Guatemala. Sono tornata per un periodo in Italia con il mio ragazzo.

Lui è un attivista per i diritti delle popolazioni indigene e proprio in quell'occasione aveva avuto vinto l'opportunità di partecipare a un forum della Fao a Roma. Dopo un mese lui è tornato in Ecuador e io sono partita per il Guatemala, dove sono rimasta circa 8 mesi. Abbiamo avuto una relazione a distanza per un po'.

Anche se amavo il progetto in Guatemala, non ero contenta di vivere distante da lui. Quindi, il 2 giugno dello scorso anno ho deciso di rinunciare e tornare in Ecuador, senza opportunità alternative perché preferivo fare un salto nel vuoto piuttosto che stare in un posto in cui non ero felice. E quindi eccomi qua, da giugno vivo nella comunità waorani insieme al mio ragazzo.

Com'è stato trasferirsi in una realtà così distante, in tutti i sensi?

Ho ereditato un passione per la natura dalla mia famiglia, che viene dall'entroterra campano (tra Caserta e Benevento), e io sono cresciuta in campagna fin da bambina, con questo contatto molto stretto con la natura, gli animali. Sento che è una cosa che mi appartiene.

Certo, non è la foresta amazzonica, per carità! Ma a me piace vivere a contatto con la natura, non amo molto i contesti urbani, preferisco quelli più tranquilli. Poi ovviamente è stato più semplice abituarsi alla vita qui perché sono con la persona che amo.

Immagine

Quali sono state le maggiori difficoltà?

L'unica forse è stata l'alimentazione. Sono vegetariana da quando avevo 16 anni, ero molto rigida su questo, per motivi etici. Ma mi sono resa conto che nella comunità questa dieta era un privilegio, in questo contesto si mangia quello che si trova, quello che c'è.

Non ci si può permettere di rifiutare il cibo perché è molto offensivo. La dinamica del cibo qui è diversa, quello che ti viene offerto è frutto di ore di lavoro o di caccia. Per me è stato difficile non perché non volessi ma perché non riuscivo ad abituarmi alla carne.

Erano 8 anni che non la mangiavo ma all'interno della comunità ho ricominciato. C'è anche da dire che quello che si mangia è diverso perché in questo contesto c'è un equilibrio perfetto, la carne non è frutto di allevamenti intensivi.

Di cosa ti occupi adesso?

Attualmente aiuto il mio fidanzato con la sua fondazione. L'ha creata circa 6 anni fa per promuovere il turismo sostenibile all'interno della comunità waorani e altri progetti. Il problema per queste comunità indigene infatti è spesso la mancanza di opportunità lavorative.

Per questo la sua fondazione cerca di fornire delle alternative sostenibili ed etiche. È anche una delle poche nate dall'iniziativa di un ragazzo che viene dalla comunità e i fondi vengono gestiti al suo interno. Io lo aiuto con i social, a organizzare le visite con i turisti che vengono a trovarci e mi occupo della parte amministrativa.

Immagine

In più, faccio lezioni di italiano online, ma solo per avere entrate extra. E su consiglio del mio fidanzato, che lo fa da tanto tempo, ho deciso di iniziare a condividere contenuti social. Anche per dare un punto di vista diverso e per il contesto da cui vengo, l'Italia. Mi sono messa in gioco.

Uso i social anche per promuovere diverse attività, come la vendita dell'artigianato waorani in Italia. Il 100% del ricavato lo do alle donne della comunità che realizzano questi accessori e per la mensa scolastica che abbiamo costruito proprio grazie a questo canale.

Come è strutturata la comunità? Cosa avete e non avete lì?

Tradizionalmente la cultura waorani è matriarcale ma negli ultimi 50 anni, poco dopo il primo contatto con la società non indigena, questo sistema sta un po' venendo meno. Per esempio, prima le donne andavano a caccia con gli uomini ma con l'arrivo è della religione evangelica questa cosa è cambiata.

E piano piano l'indipendenza delle donne, soprattutto nella dimensione domestica, si sta un po' perdendo. Anche se nelle questioni istituzionali le donne continuano a essere le leader delle comunità.

Qui non abbiamo televisione, frigorifero o il bagno. Il mio ragazzo ha investito nel creare uno spazio per lavorare qui e ha comprato un pannello solare che usiamo per avere Internet e ricaricare i nostri dispositivi. Non abbiamo le lampadine, consumerebbero troppo, e usiamo le candele.

E come ci si integra in questa comunità? Che lingua si parla?

La leader della comunità è mia suocera, quindi se lei non mi avesse accettato, se non le fossi piaciuta, non avrei potuto vivere nella comunità e non sarei potuta nemmeno essere la compagna di suo figlio. Le fidanzate dei suoi fratelli, per esempio, vivono fuori dalla comunità, non possono venire qui.

Sara insieme a sua suocera e a una delle zie del fidanzato.
Sara insieme a sua suocera e a una delle zie del fidanzato.

Qui sono quasi tutti bilingue, parlano spagnolo e wao tededo (la lingua dei waorani, ndr), una lingua isolata, che non ha subito altre influenze. Le persone più anziane invece non parlano spagnolo. Io so dire qualcosina in wao tededo, ma lo capisco meglio e poi rispondo in spagnolo. A volte mi aiuta anche il mio fidanzato.

Ora ho promosso anche un corso di lingua waorani, che tiene mio suocero, ed è stato accolto bene! Abbiamo già un gruppetto di studenti, sarà il primo corso di wao tededo online della storia.

Torni spesso in Italia?

L'ultima volta sono tornata un anno fa per dieci giorni, proprio per la questione economica di cui ti parlavo prima, il volo è molto costoso e non ho avuto modo. In tre anni sarò tornata due volte.

La tua famiglia come ha preso questa decisione? Sono mai venuti?

No, i miei genitori non hanno nemmeno mai preso un aereo e non sono persone che hanno fatto grandi viaggi. Io però ho tre fratelli che vorrebbero venire, quindi forse riusciremo a organizzare per quest'anno. Su come hanno preso la mia decisione, diciamo che non se l'aspettavano, ovviamente.

Quando hanno iniziato a capire che sarei rimasta qui per un tempo indefinito, soprattutto per mia madre, è stato difficile e doloroso. Ma mi supportano molto in quello che faccio, sono contenti di sapere che sono in un posto in cui voglio stare e sto bene.

Ti manca l'Italia?

Mi mancano gli affetti, la mia famiglia e le mie amiche, con cui ho un rapporto molto solido. Per il resto sinceramente no, mi sono abituata e non soffro particolarmente la mancanza di altro.

Immagine

Cosa diresti alle persone che pensano a un'esperienza come la tua?

Quello che dico sempre anche sui miei social è che non voglio incentivare le persone a vivere nelle comunità indigene. Sono contesti profondamente vulnerabili e fragili, c'è il rischio che queste vengano intaccate dalla presenza di persone esterne. Io non ho scelto di trasferirmi nella comunità perché volevo vivere nella foresta.

Questo non è possibile e ben venga, sono contesti che vanno preservati. Per me è stato tutto frutto di una serie di coincidenze. Non ho lasciato tutto per venire qui, sarebbe dire una grande bugia. Consiglio il volontariato, sì, ma sempre quando ci sono le competenze, le capacità e le giuste accortezze per farlo.

Dipende molto dal progetto che si trova e si cerca. Sono contraria quando questo diventa turismo mascherato che non dà alcun apporto alle comunità, quando sono esperienze per lavarsi la coscienza e promuovere un concetto eurocentrico. Credo sia importante supportare le lotte di queste comunità e amplificare la loro voce.

255 CONDIVISIONI
41 contenuti su questa storia
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views