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“Dalla Puglia mi sono trasferita a Boston. Qui la meritocrazia c’è e si vede”: la storia di Francesca

Francesca, 36 anni, è arrivata dalla Puglia negli Usa nel 2016. Vive a Boston con suo marito e insegna italiano agli stranieri. “Quando sono arrivata, temevo di essere fuori dal mercato del lavoro, mi sentivo già vecchia e invece qui ai colloqui non ti chiedono l’età. A loro interessa solo se hai esperienza e voglia di fare”, ha raccontato la 36enne a Fanpage.it.
A cura di Eleonora Panseri
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Francesca, italiana a Boston
Francesca, italiana a Boston
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Francesca, 36 anni, è arrivata dalla Puglia negli Stati Uniti nel 2016. Dopo aver visitato il Paese un anno prima, ha deciso di trasferirsi stabilmente prima a Chicago e poi a Boston, dove fa l'insegnante di italiano.

"Sono arrivata la prima volta negli Usa quando mio marito, dopo aver provato a cercare un posto di dottorato in Italia con borsa di studio senza successo, ha fatto domanda qui ed è stato preso alla North Western di Chicago. Anche io non avevo avuto grandi opportunità: ho studiato Scienze storiche e potevo insegnare, ma non avendo trovato altro facevo ripetizioni private ai bambini e ho lavorato anche in un call center", racconta a Fanpage.it.

Ora Francesca vive negli Usa da 8 anni, a Boston da 3, con tutte le soddisfazioni ma anche le difficoltà che la vita da expat comporta: "All'inizio c'è un la cosiddetta ‘luna di miele', noi italiani cresciamo un po' con l'idea del ‘sogno americano'. Qui succedono davvero le cose che si vedono nei film e ti dici: ‘Ah, ma allora è vero!'. Poi però ci sono anche quei piccoli problemi che devi imparare ad accettare facendo compromessi".

Quando e perché sei arrivata negli Stati Uniti?

Sono arrivata negli Stati Uniti insieme a mio marito. Dopo aver cercato un posto di dottorato in Italia con borsa di studio senza successo, ha fatto domanda anche qui ed è stato accettato alla North Western University di Chicago. In un primo momento l'ho seguito solo con l'Esta (documento che consente di viaggiare negli Usa senza visto, ndr).

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Anche io non ero riuscita a trovare molto. Sono laureata in Scienze storiche e posso insegnare, però in Italia davo ripetizioni private di inglese ai bambini e per un breve periodo avevo pure lavorato in un call center. Siamo arrivati nell'estate del 2015 e per un mese siamo rimasti nello studentato dell'università: avevamo un nostro appartamento e tutto il periodo era dedicato a fare l"esperienza americana', una possibilità offerta agli studenti internazionali. Abbiamo conosciuto persone da tutto il mondo e durante questo ‘summer camp' gli studenti potevano migliorare il loro inglese e anche fare esperienze tipiche, come il barbecue all'aperto o le visite della città.

In questo modo anche io mi sono potuta avvicinare alla vita americana. Dopo abbiamo cercato un appartamento in città, visto che mio marito doveva iniziare a lavorare nel campus biomedico. Lì è stato abbastanza difficile perché essendo immigrati non avevamo storia di credito. Siamo riusciti a sistemarci, anche se io sono rimasta solo un altro mese, perché con il mio visto più di tre mesi non potevo rimanere. Per un anno abbiamo avuto una relazione a distanza, poi ci siamo sposati e sono tornata negli Stati Uniti a settembre 2016. E qui ho trovato lavoro come insegnante di italiano per adulti.

Ora invece vivete a Boston, perché vi siete trasferiti?

Sì, questo è il nostro terzo anno qui, perché mio marito è stato preso ad Harvard per lavorare come ricercatore. Per quanto riguarda me, invece, già prima della pandemia la scuola per stranieri per cui lavoravo si era ‘spostata' online e anche io ho cercato studenti su altre piattaforme. Mi sono accorta che c'è stato un forte incremento di studenti dopo la pandemia perché ha portato le persone a fare più cose online, anche se qui già da tempo esisteva il lavoro da remoto.

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Cosa ti piace di più della vita a Boston?

Della vita negli Stati Uniti, in generale, mi piace il sistema meritocratico che si vede, il fatto di avere delle possibilità a ogni età e di poter fare carriera. Quando sono arrivata, temevo di essere fuori dal mercato del lavoro, mi consideravo già vecchia e invece qui ai colloqui non ti chiedono l'età perché a loro interessa solo se hai l'esperienza e voglia di fare. Quando ti assumono poi valutano se sei una persona che vale oppure no.

Non siamo stati a lungo in Italia dopo la fine degli studi ma mio marito, che ha terminato il suo percorso prima di me, non riusciva davvero a entrare da nessuna parte con una borsa di studio. Lui fa ricerca sui tumori e lavorava finanziato da associazioni, ma solo per brevi periodi, per il resto del tempo non veniva pagato. Quando abbiamo raccontato questa cosa qui si sono tutti stupiti perché per loro è assurdo lavorare gratis.

Boston
Boston

Boston mi piace perché è molto europea rispetto alle altre città americane. Noi venivamo da Chicago che è il tipico centro del Midwest, gigantesco, dove per andare da una parte all'altra della città ci vuole un'ora e mezza di mezzi pubblici. Qui invece è tutto più a misura d'uomo. La città è anche una delle più antiche, ci sono tanti musei e c'è molta attenzione alla cultura.

Cosa non ti piace invece?

Il grosso problema qui è sicuramente il costo esagerato di alcuni servizi, in particolare della sanità. Ovviamente, bisogna avere un'assicurazione sanitaria e c'è una quota che bisogna raggiungere per essere coperti quasi al 100%. Quando si fanno visite o grandi cose conviene essere coperti perché altrimenti si pagano delle somme importanti. Anche gli affitti qui costano molto.

Tutto ruota intorno al denaro in questo Paese e questo purtroppo ti porta avere una vita molto stressante perché bisogna lavorare tanto per fare più soldi e potersi permettere un determinato stile di vita. Questo è quello che mi piace meno.

A Boston invece non mi piacciono tanto i trasporti pubblici che sono leggermente peggio di quelli delle altre città, ma è una cosa minima. Ci siamo trovati bene fin da subito, mentre invece a Chicago avevamo un po' paura perché è sicuramente più pericolosa. Qui non ho mai avuto il timore che avevo lì. Di Boston ci sono più cose positive che negative.

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Con il clima e il cibo come va?

Io da pugliese ti dico che il clima è stato difficile da accettare, ho vissuto in due città freddissime. Anche se, pure non amando il freddo, adoro la neve. Ci ho messo un po' ad abituarmi a queste temperature ma ce l'ho fatta, con i giusti vestiti e con gli anni. Poi noi siamo una coppia sposata, quindi la sera non usciamo più tanto.

Per quanto riguarda il cibo, invece, dipende un po' da dove si vive. Nelle grandi città il cibo italiano si trova ma con un prezzo che è il doppio, il triplo di quello che si trova in Italia. So invece che in altri centri più rurali degli Stati Uniti praticamente non esiste nulla.

Noi troviamo quasi tutto, pure la mozzarella di bufala, ma tutto ciò che è italiano qui è considerato ‘di lusso', il made in Italy è molto apprezzato. Però noi alla fine accettiamo di pagare un certo prezzo perché dopo aver provato per un po' cose americane, abbiamo pensato: ‘Ma chi ce lo fa fare?'.

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Dell'Italia cosa ti manca? 

Sicuramente lo stile di vita, dopo tanti anni mi rendo conto che qui è tutto davvero molto stressante. Poi mi mancano il mare pugliese, non sono riuscita a trovarne uno così bello da nessuna parte, e la mia famiglia.

Quando diventi genitore a tua volte e vorresti avere i nonni vicino, è davvero difficile. E durante la pandemia è stato ancora più complicato, visto che noi andiamo avanti con l'idea di tornare in Italia almeno una volta all'anno, mentre con il Covid eravamo proprio bloccati.

A chi consiglieresti gli Stati Uniti e a chi li sconsiglieresti?

Li consiglierei a chi sa adattarsi, anche alle grosse differenze, visto che, pur essendo un paese occidentale, è tanto diverso. Diciamo che tutti gli italiani che sono venuti a vivere qua e con cui ho parlato hanno avuto più o meno le stesse difficoltà.

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Anche a chi sa vedere il positivo, pure nelle piccole cose, e a chi non ha paura di lavorare tanto. C'è la meritocrazia e si fa carriera, ma non ci si può aspettare di arrivare e spaccare tutto subito. All'inizio, soprattutto se si parte da zero, è difficile. Però alla fine ne vale la pena, i risultati noi li abbiamo visti.

Li sconsiglio invece alle persone meno adatte ai cambiamenti, poco indipendenti e che non accettano le diversità. Qui non c'è solo la cultura statunitense ma anche quelle di tanti altri Paesi. Il primo insegnamento che si impara è proprio quello di non giudicare mai. E questo mi permette di scoprire sempre cose nuove.

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