Sono ateo e sono dalla parte di Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, in questo caso. Non perché ritenga gli animali indegni di attenzioni al pari degli umani («più conosco le persone e più amo le bestie» è una frase che condivido) ma perché ho individuato nelle parole del capo della Chiesa Cattolica una profondità che è sfuggita a chi, accecato dal (presunto) giudizio sugli animalisti, non ha voluto guardare oltre. Premessa importante: un cattolico sa – glielo ricorda sul Corriere il teologo Paolo De Benedetti – che «Dio gli ha dato un rapporto con Lui che nessun’altra creatura ha» e già questo dovrebbe bastargli a spiegare. E chi non crede come si orienta? Che pensa?
Bergoglio ha rimesso l'uomo e la sua sofferenza al centro del ragionamento dal quale partire. Non ha detto «trattate male gli animali» o «chi li ama sbaglia». Ha detto che non è giusto elevarli a esseri umani (teoria fra l'altro sostenuta da qualsiasi etologo) come paravento per scappare da un possibile impegno verso il prossimo. Verso lo sconosciuto, verso il debole, verso il migrante, verso il povero, verso il malato. E cosa c'è di più francescano di tutto ciò? Cito non a caso Francesco d'Assisi, "il santo degli animali", perché nelle ultime 24 ore è stato tirato in ballo a contraltare di ciò che ha affermato Bergoglio. Non fermatevi al Cantico delle Creature; il fraticello ammoniva anche: «Beato l'uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità».
Potevano essere gli animali, ma avrebbe potuto dire anche l'impegno politico, culturale o sociale. Dai. Ammettiamolo. Ammettiamolo e non facciamo atto di disonestà intellettuale: c'è chi si attacca morbosamente alle ‘cause' d'ogni tipo e ignora quel che ha sotto il naso. Ce lo siamo detti mille volte. C'è chi si fa indignare da ciò che succede in Nicaragua e si disinteressa di quel che accade nel vicoletto sotto casa. È difficile impegnarsi hic e nunc, ora come mai è necessario, il pontefice argentino voleva dire questo. Strano che l'abbia capito un ateo e non (alcuni) credenti. O forse è fin troppo normale.