Dalla fiction alla realtà: il caso di Silvana Fucito
Lunetta Savino, nonostante gli anni trascorsi, rimane per tutti noi la Cettina del “Medico in famiglia”. Governante meridionale dal polso fermo che gestisce la casa con ironia e un pizzico di furbizia. Quando nel 2008 le è stata offerta la parte da protagonista ne “Il coraggio di Angela” gli opinionisti hanno scritto che era la sua definitiva consacrazione come attrice di fiction televisive.
La mini serie, in due puntate, era ispirata al caso di Silvana Fucito, l’imprenditrice che, nel 2005, si era ribellata alle richieste del clan Rinaldi di S. Giovanni a Teduccio denunciando i suoi estorsori. Nello stesso anno per il suo coraggio era stata inserita dal “Time” nella lista dei 37 eroi europei, insieme a Beppe Grillo (la qual cosa mi fa dubitare della qualità della scelta). Due anni dopo è nominata Cavaliere del Lavoro.
I requisiti per accedere all’onorificenza sono indicati dalla legge n. 194 del 1986: «a) aver ottenuto una specchiata condotta civile e sociale; b) aver operato nel settore per il quale la decorazione è proposta in via continuativa e per almeno vent'anni con autonoma responsabilità; c) aver adempiuto agli obblighi tributari ed aver soddisfatto ogni obbligo previdenziale e assistenziale a favore dei lavoratori; d) non aver svolto né in Italia, né all'estero attività economiche e commerciali lesive dell'economia nazionale».
Insomma una donna tosta e concreta, una figura di tutto rispetto nel panorama della società civile napoletana che con determinazione ha trascinato i suoi estorsori in tribunale indicandoli pubblicamente davanti alla giuria. Il giorno della prima udienza si erano mossi in tanti per far sentire il loro affetto alla minuta ma cazzuta imprenditrice. Al suo fianco c’era persino il sindaco, Rosa Russo Iervolino, decisa a difendere l’immagine positiva della città.
A chi l'intervistava rispondeva con risolutezza, calma e naturalità: «Ho difeso il mio lavoro, i miei figli, il mio gesto è stato semplice, una liberazione e mi auguro che possa essere da esempio per imprenditori e commercianti vessati dal racket». Da allora è diventata la Giovanna D’Arco dell’antiracket campano portata in processione come una Madonna peregrina per mostrare le stimmate delle ribellione.
Del resto Silvana aveva sofferto (e questo rende credibile la sua esperienza di vittimizzazione) come tanti imprenditori meridionali impauriti e suggestionati dalla violenza mafiosa: non solo il clan ha incendiato l’impresa familiare, ma, dopo la denuncia, l’ha costretta anche a vivere sotto scorta. A questo punto gli ingredienti per la canonizzazione mediatica ci sono tutti: una donna sfida la camorra e la sconfigge con l’aiuto della Stato senza rimetterci la pelle.
La Magnolia fiction (quella che produce Master Chef, per intenderci), per conto della Rai, commissiona a uno scrittore del calibro di Diego De Silva (coadiuvato da Claudio Corbucci e Maura Nuccetelli) una sceneggiatura ricalcante la vicenda della Fucito. Nasce così “Il coraggio di Angela” in cui Lunetta Savino si cimenta nel personaggio di Angela Latella, proprietaria, insieme al marito, di un negozio di vernici ben avviato. Tutto procede per il meglio fin quando non si presenta la camorra a pretendere una tangente in denaro e la collusione in loschi traffici.
Il rifiuto, la denuncia e l’attentato dinamitardo sono storia nota, ma il pubblico televisivo, per rimanere incollato allo schermo, ha bisogno di buoni sentimenti, il coraggio va bene ma non basta. Gli autori inseriscono, allora, la vicenda di un giovane, parente della protagonista e figlio del boss del quartiere Ciro Marra (interpretato da Gaetano Amato), che viene da lei aiutato a cambiare vita per sottrarlo a un sicuro destino criminale.
Nella fiction il personaggio più ambiguo è il marito dell’eroina, Pasquale (Andrea Tidona), che tentenna ed è assillato da mille dubbi e paure. Pare proprio che a portare i pantaloni in famiglia sia Angela: tra incomprensioni e litigi, continua a credere alla possibilità di combattere e sconfiggere il mostro grazie all’integrità della sua coscienza civile, riponendo fiducia nelle forze dell’ordine e nella magistratura. Una fiction political correct in cui la Tv di Stato esalta il valore della cittadinanza e delle istituzioni repubblicane quale rinnovamento del patto costituzionale.
La messa in onda era stata preceduta da una serie di dichiarazioni di esponenti del mondo dell’antiracket. L’associazione di commercianti di Patti (Me) aveva diffuso un comunicato in cui, ripercorrendo la tappe della battaglia della Fucito, scriveva: «Silvana, oggi, è una donna libera di combattere, di denunciare, di guardare in faccia i camorristi, di incoraggiare altri napoletani a fare come lei. Non vuole nuovi eroi al suo fianco, ma cittadini veri. Dopo la denuncia, Silvana non si è tirata indietro, ma ha continuato a rimanere in prima linea nella lotta alla camorra… ci ripete sempre: “Non bisogna aspettare lo Stato, perché lo Stato siamo noi”».
Ma la fiction supera la realtà o meglio l’anticipa. Il marito anello debole della vicenda nella mini serie televisiva lo è anche nella realtà. Qualche giorno fa, infatti, è finito agli arresti domiciliari per frode fiscale realizzata attraverso l'emissione e l'utilizzazione di fatture false. Anche Silvana sarebbe indagata. L’imprenditrice, correttamente, si è dimessa da coordinatrice campana della FAI (Federazione Antiracket Italiana) ma ha rintuzzato il clamore mediatico dichiarando che il reato è ancora tutto da provare e che, vista la sua visibilità, stampa e tv hanno voluto montare il caso alla ricerca dello scoop.
Le indagini accerteranno se l’accusa ha ragione o torto. Tuttavia, pensando all’accaduto mi torna in mente con ossessione una frase di Brecht: «Sventurata la nazione che ha bisogno di eroi» e in Italia ce ne sono davvero troppi. Se malauguratamente la Fucito dovesse subire l’onta della condanna qualcuno potrebbe chiederle di restituire il cavalierato del lavoro per decadenza dei requisiti e il Time dovrebbe ammettere di aver compiuto un errore di valutazione compilando la lista degli eroi europei.