Dal coma ai mondiali di Paraclimbing, la storia di Gian Matteo: “La normalità non esiste e niente è irraggiungibile”
“Non esiste qualcosa di irraggiungibile: se hai un obiettivo, per quanto enorme sia, e lo guardi così, ti sembra lontanissimo. Ma se lo prendi e lo scomponi in tanti, tanti piccoli obiettivi, dopo è un gioco da ragazzi. Raggiungi il primo scalino, poi il secondo e così via, fino al tuo gradino finale. E da lì, fidatevi, c'è una vista assurda. Veramente atomica”.
Parola di Gian Matteo Ramini, 25enne bolognese campione di Paraclimbing, fresco di argento agli ultimi mondiali di arrampicata. Nel 2015 era un astro nascente del kung fu, ma un gravissimo incidente ha cambiato la sua vita. “Ricordo molto bene cosa è successo” spiega “GianMa” a Fanpage.it, riavvolgendo il nastro dei suoi ultimi sette anni vissuti prima a fare i conti con un graduale risveglio, dopo quasi due mesi di coma, e poi a scalare ogni genere di vetta.
Tutto ha inizio il 19 luglio del 2015, in vacanza con alcuni amici in Portogallo. “Decido di fare una passeggiata perché non ne potevo più di stare a rosolare al sole -ricorda Gian Matteo-. Eravamo fra l'altro in un posto molto bello, a circa 40 chilometri da Lisbona, dove dicono ci sia una spiaggia per surfisti: meritava di essere vista, insomma. Così vado a fare un giro con quello che era il mio migliore amico. Saliamo su degli scogli e a un certo punto notiamo anche un cartello: pericolo caduta massi. A 17 anni non ci pensi, dai, vuoi che succeda qualcosa proprio a me”. Ma, “alla fine non ci cade addosso nessun masso, però sono comunque scivolato all'improvviso”. Un salto nel vuoto di quasi nove metri.
“Andavo a scuola, anche più o meno bene, e facevo sport a livello agonistico, allenandomi quasi tutti i giorni -continua-. Mi dedicavo quasi solo a quello, però riuscivo comunque ad organizzarmi sempre al meglio, sfruttando ogni diavolo di secondo”. Dopo la caduta il giovane è entrato in coma e niente è stato più come prima. O meglio: qualcosa è sicuramente cambiato, ma Gian Matteo non è di certo uno che si arrende facilmente.
Lo dimostra anche il suo soprannome, Robocop. “Una sera ero in centro con degli amici -racconta-: arrivano sti due cinnazzi (che in dialetto bolognese vuol dire “ragazzini”, ndr) e da lontano mi guardano e dicono “chi cavolo è quello? Robocop?” Hanno cominciato pure a scimmiottarmi. Sono rimasto calmo grazie ad un'amica che era con me. La sera successiva, prenotando un tavolo in birreria, ho dato proprio questo nome, Robocop: è diventata un po' la mia caratteristica, perché sì, è vero, mi muovo un po' impacciato, un po' robotico, però ora è così. Che vogliamo fare? Ci piangiamo addosso? Mi sembra la cosa più stupida”. Sull'esperienza del coma, aggiunge: “Nella tua testa dici mi alzo, parlo, faccio. Ma non è così. Ho provato ad alzarmi un sacco di volte e ovviamente ho sempre fatto dei bussi, ma dei bussi (altro termine bolognese, che sta per "botto violento", ndr) come nessun altro nella Casa dei Risvegli. E lo stesso vale col parlare: pensi di aver fatto anche dei discorsi da premio Nobel, invece escono solo dei vocalizzi”.
Dopo il lento recupero, GianMa riesce a trovare nello sport, la sua grande passione, un modo per superare le difficoltà del momento. Prima debuttando sul ring in una delle discipline di lotta che fin da piccolo ha praticato, poi con il Paraclimbing, scoperto nel 2017 quasi per caso. L'idea di giocarsela con altri atleti e rivivere di nuovo una quotidianità fatta di sport hanno rappresentato la benzina per la sua rinascita. “Mi mancava l'agonismo, l'organizzazione degli allenamenti, dell'alimentazione -conferma- e tutto questo l'ho ritrovato con l'arrampicata”. Intanto, però, Robocop ha anche completato gli studi in scienze motorie, si sta preparando all'inizio della magistrale, sognando un giorno di poter insegnare educazione fisica, e continua ad allenarsi per le prossime competizioni. L'obiettivo di settembre è fare meglio che può ai prossimi campionati italiani di disciplina. Non solo: nel suo futuro c'è anche un cambio di casacca, visto il suo passaggio ad una squadra di Arco di Trento. Un bel traguardo, considerando che le primissime uscite non sempre lo hanno visto salire sul podio, “mi sono allenato come una bestia e i risultati si sono visti”.
Ma cosa si prova lassù? Paura? "Forse un po'", dice infine Gian Matteo. “Quello che provo è però soprattutto un senso atomico di libertà -conclude-. La vera forza l'ho trovata nel fatto che non si può dire “cerco di essere normale”. I primi anni volevo esserlo, dicevo che così non andava bene. Mi sentivo sporco anche dopo essermi lavato la faccia. Poi ho capito: essere normali è una boiata. Perché tu devi cercare la tua normalità e in funzione di quella creare e costruirti il tuo percorso. Non esiste essere normali, ma esiste essere normali per te. Punto”.