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Dal campo al cantiere nel raggio di 100 km: chiusa la filiera delle case di canapa in Puglia

In Puglia è stata chiusa la filiera della bioedilizia in canapa e nel raggio di pochi chilometri si passa dai campi all’utilizzo dei materiali trasformati. Non solo: grazie al centro di prima trasformazione della canapa attivo a Cerignola, ora ci sarà la possibilità di avviare anche le altre filiere industriali come quelle della carta, del tessile e delle bioplastiche.
A cura di Mario Catania
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Dalle piante di canapa al cantiere che le utilizza per dar vita a nuove abitazioni tutto nel raggio di pochi chilometri: accade in Puglia, tra Cerignola, Bisceglie e la Capitanata, dove è stata chiusa la filiera della bioedilizia che dalle rotoballe di canapa, passa per la loro trasformazione in prodotti per l’edilizia e infine alla loro utilizzazione.

A Bisceglie infatti sta nascendo un nuovo condominio realizzato da Pedone Working interamente con canapa e calce: 24 appartamenti che prendono il nome di “Case nel verde” e sorgono vicino a “Case di luce”, altro complesso in canapa costruito dall’azienda.

La filiera corta pugliese per la bioedilizia in canapa

E il bello di questa nuova esperienza è che i materiali di partenza non vengono importati dall’estero come accadeva anni fa, ma sono prodotti a pochi chilometri di distanza, nell’impianto di prima trasformazione di Cerignola, delle aziende Bio Hemp Trade e Palma d’Oro. È l’unico centro di questo tipo ad oggi funzionante in Italia e qui si ricavano i due materiali che possono dar vita alle innumerevoli filiere della canapa: la fibra, che può essere lunga o corta, e il canapulo, la parte legnosa lavorata in varie granulometrie, che è quella impiegata in bioedilizia.

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Quindi il primo passo è stato quello di chiudere la filiera locale della bioedilizia, ma quello successivo potrebbe essere l’implementazione delle diverse filiere industriali che possono dar vita a centinaia di prodotti come le bioplastiche, la carta o il tessile, che non erano mai state avviate anche per la mancanza delle materie prime, che oggi sono disponibili. “In questi anni abbiamo lavorato sia sulle tecniche di coltivazione che sulle tecnologie che ci avrebbero dato la possibilità di arrivare a questo risultato”, spiega Pietro Paolo Crocetta di Bio Hemp Trade sottolineando che: “Dopo test continui fatti sulle linee di produzione, quest’anno siamo riusciti a raggiungere uno standard che fosse competitivo sul mercato”.

Altri impianti in futuro con la possibilità di avviare le altre filiere della canapa

E questo è solo il primo passo: “La filiera corta è quella che ripaga perché i costi di trasporto per un materiale che produce questi grandi volumi sono incoerenti anche con quelli che sono i principi green della canapa, quindi ritengo che debbano nascere altri impianti. Anche perché la richiesta del materiale aumenta e noi non riusciremo a coprirla”. E quindi il proposito, dopo l’avviamento dell’impianto pilota di Cerignola, è quello di aprirne altri due in futuro: uno in Campania e uno in centro Italia.

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Per garantire gli standard necessari, tutto il processo è certificato. “Abbiamo sviluppato una piattaforma digitale sia per la parte agricola, quindi dal seme al raccolto, che serve ad ottimizzare la coltivazione e quindi ad esempio l’irrigazione tramite sensori o l’aiuto delle mappe satellitari nel monitorare lo sviluppo e che traccia tutte le attività agricole, compresi i prodotti utilizzati”, sottolinea Matteo Vannotti di xFarm, azienda specializzata nella tecnologia in agricoltura. “La stessa cosa l’abbiamo fatta nel centro di trasformazione, con un gestionale digitale, che traccia tutte le altre attività di trasformazione dalla pulizia all’essiccazione”. In questo modo, oltre al supporto operativo, tutta la filiera è tracciata dal seme al prodotto finito, dando la possibilità di risalire al lotto di produzione o al campo dove è stata coltivata in modo da sveltire i controlli.

Dal campo alla casa in canapa: l'economia è davvero circolare

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La filiera corta pugliese può essere un esempio di economia circolare che dà vita ad un percorso virtuoso sia per quello che riguarda la produzione e l’uso dei materiali nel raggio di pochi chilometri, sia per l’abbattimento delle emissioni di CO2. Se da una parte l’edilizia tradizionale incide per il 30/40% delle emissioni totali di CO2 a livello globale, la canapa unita alla calce rappresenta l’unico metodo costruttivo che è considerato carbon negative, cioè, invece che immetterla, toglie CO2 dall’ambiente in tutto il percorso: dalla crescita della pianta alla posa dei materiali, che vanno avanti a fissare CO2 al proprio interno – fino a 60 kg per metro quadrato secondo uno studio del Politecnico di Milano – anche una volta utilizzati nelle case.

Per questo motivo fuori dal nuovo cantiere di Pedone Working è scritto esplicitamente che costruire questo nuovo complesso equivale a piantare 1500 alberi. Ed è un modo di intendere l’edilizia che oltre che far bene all’ambiente, fa bene anche alle persone che le abitano. Le case in canapa infatti sono salubri, con una perfetta umidità garantita dal materiale stesso, calde in inverno e fresche d’estate, con consumi energici e bollette vicine allo zero.

Non solo, perché l’architetto Pantaleo Pedone spiega che: “Oggi abbiamo una produzione trasversale che si occupa di tutto il fare in edilizia, del costruire nuovo, del ristrutturare, risanare, deumidificare, attraverso un atteggiamento di sviluppo industriale del materiale da costruzione”. Materiale che nei cantieri arriva nelle forme classiche come premiscelati e big bag, superando la lavorazione artigianale che caratterizzava questo tipo di edilizia. L’idea di fondo, infatti, è che solo con grandi volumi e lo sviluppo di cantieri di questo tipo in tutto Italia che si potranno vedere veri benefici ambientali nella lotta contro le emissioni di CO2.

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