Da Roma a Latina: acqua pubblica vendesi (REPORTAGE)
Acqua bene comune: parole che rischiano di rimanere tali. Il business dei servizi idrici è fra i più remunerativi per chi gestisce falde e rubinetti. Succede a Roma, dove il Campidoglio è in procinto di vendere un ulteriore 21 percento di Acea ai privati. Nulla di illegale, nonostante il Referendum approvato solo un anno fa. La società che fornisce l'acqua ai cittadini romani è infatti una multiservizi impegnata anche nel settore dell'ambiente e dell'energia. Come tale può vendere le proprie quote azionarie a investitori esterni con i soldi in tasca, che a loro volta possano rimpinguare le disastrate casse di Alemanno e soci. I cittadini scendono in piazza, manifestano contro le decisioni di Roma Capitale, invocano i risultati della consultazione popolare del 12 e 13 giugno 2011. In aula scoppiano risse, volano parole grosse, calci e cazzotti. La partita è più grossa di quanto si immagini: in ballo ci sono milioni di euro da un lato e un bene pubblico dall'altro.
UNA SOCIETÀ “PUBBLICO-PRIVATA” – Eppure di privatizzazioni se ne parla spesso, soprattutto in termini di efficacia ed efficienza. Gli investitori privati, dice qualcuno dalle parti della Capitale, assicurano un miglior livello del servizio. Per verificare l'affermazione non bisogna lavorare di fantasia, ma prendere un mezzo di trasporto e spostarsi di una cinquantina di chilometri più in giù, tra Latina e provincia. Facciamo il punto della situazione e cerchiamo di stabilire un confronto: nell'agro pontino la gestione del servizio idrico è affidata ad AcquaLatina, società a capitale misto pubblico-privato che fornisce l'acqua a 39 comuni dell'area, compreso il capoluogo. Il pubblico, nonostante le apparenze, non ha però gli stessi poteri degli investitori privati. Dietro i numeri si cela, infatti, la prassi dell'azienda: il presidente (attualmente Giuseppe Addessi) è di parte pubblica, ma il vicepresidente (Angelo Costa) e l'amministratore delegato (Raimondo Luigi Besson) sono di nomina privata, con l'assemblea dei soci che delibera a due terzi. Fatti due semplici conti, scopriamo come il privato abbia molta più voce in capitolo del pubblico. E questo è il primo dato.
SAPORE DI ARSENICO – Il secondo è relativo alla qualità del servizio. I cittadini di Aprilia, Cisterna di Latina, Anzio, Nettuno, Cori e Sermoneta (quasi 150.000 persone, per intenderci) hanno bevuto, e molti continuano a bere tutt'oggi, acqua all'arsenico. Un elemento naturale, tossico per la salute, mischiato all'acqua che i cittadini ingeriscono, usano per lavarsi e per irrigare le coltivazioni, economia storicamente florida nell'agro pontino fin dai tempi della bonifica degli anni '20. AcquaLatina, come ci informa il Comitato per l'acqua pubblica di Aprilia, aveva promesso gli investimenti necessari a risolvere il problema, utilizzando filtri e tecnologie adatte a purificare l'acqua. Negli ultimi sei anni poco o niente è stato fatto: l'arsenico continua a essere molto al di sopra dei parametri stabiliti per legge (10 microgrammi al litro, a fronte dei 30, 40, addirittura 49 microgrammi presenti in molte zone della provincia di Latina). Si è proceduto a forza di deroghe, con la Regione Lazio che ha portato il limite a 50 microgrammi. Una situazione paradossale, come testimonia anche quanto accaduto a Cisterna di Latina.
LE BOTTI DI CISTERNA – Giriamo per le strade di questo paese di circa 45.000 abitanti. Nelle vie e piazze che percorriamo sono state sistemate delle cisterne d'acqua, tanto che qualcuno si chiede se il nome della cittadina non derivi da questa particolarità. Nulla del genere: le cisterne ci sono perché l'acqua dei rubinetti non è potabile. Alcuni cittadini ci spiegano che il sindaco e la società AcquaLatina non hanno trovato soluzione migliore che disporre queste botti lungo le strade, dove gli abitanti, col sole o con la pioggia, col caldo afoso o col freddo più pungente, sono costretti a riempire le loro taniche di acqua, qualora avessero la bizzarra pretesa di berla o utilizzarla per cucinare: «Situazione che provoca disagi a tutti, soprattutto anziani e disabili – spiega Giuseppe Cimmino, presidente del Comitato acqua pubblica locale – eppure, nonostante l'acqua all'arsenico, noi abbiamo continuato a pagare le bollette al cento per cento, come se il problema non fosse mai esistito». Cimmino ci spiega anche come il suo comitato abbia raccolto 1.500 firme da presentare al primo cittadino, Vincenzo Merolla, per ottenere quanto meno la riduzione delle bollette, vista la situazione. Proposta, fino ad ora, caduta nel vuoto. In alcuni quartieri l'acqua è tornata potabile (seppur con qualche riserva da parte di chi la beve, visto il sapore non proprio “neutro”), in altri c'è ancora chi scende e fa la fila per riempire due o tre taniche d'acqua.
BOLLETTE PAZZE – «Parliamo di aumenti superiori al 300 per cento per quanto riguarda le utenze domestiche». A dircelo è Fabrizio Consalvi, del Comitato acqua pubblica di Aprilia. Nella città pontina sta succedendo qualcosa che vale la pena di essere sottolineato: i cittadini, circa 6.500 in tutto, si sono rivolti al comitato locale per fare ricorso contro le bollette pazze di AcquaLatina. Gente esasperata, con faldoni ricolmi di bollette, si rivolgono ai volontari del Comitato, che provvedono a ricalcolare le bollette e a girare i soldi sul conto corrente del Comune. Come a dire: paghiamo il servizio idrico, ma solo a chi è legittimato ad avere i nostri soldi. Secondo Consalvi, infatti, il Comune di Aprilia non ha mai ratificato l'accordo con la società idrica, che a sua volta non ha mai inviato agli abitanti il contratto di servizio obbligatorio. La risposta di AcquaLatina non si è fatta attendere, attraverso le cartelle di Equitalia e i blitz degli ispettori, accompagnati alcune volte da guardie giurate. «Ma non ci siamo fatti scoraggiare – continua Consalvi – stiamo solo difendendo un nostro diritto: in molti hanno bloccato con catene e lucchetti gli sportelli dei contatori, in modo da impedire agli ispettori di AcquaLatina la lettura del contatore».
Aumento bollette dalla gestione di AcquaLatina – Fonte: Comitato Acqua Pubblica Aprilia
ROMA VENDE ACQUA – Alla luce di queste piccole considerazioni, si può comprendere la preoccupazione dei cittadini romani, che rischiano una situazione analoga, almeno per quanto riguarda l'aumento delle bollette: «Un'eventuale privatizzazione significherebbe anche incentivo allo spreco della risorsa – ci dice Corrado Oddi, responsabile del Forum italiano per i Movimenti dell'Acqua – perché più risorsa si utilizza, maggior profitto proviene nelle casse del gestore privato». La battuta è facile e anche poco divertente, ma vien da pensare che in molti, dalle parti del Campidoglio, sull'acqua stiano giocando col fuoco. I Movimenti accusano Alemanno di svendere Acea per fare cassa, il sindaco da parte sua richiama il decreto liberalizzazioni del governo Monti, in base al quale, entro il 2015, i comuni proprietari di aziende quotate in borsa, operanti nei servizi pubblici locali, dovranno scendere al di sotto del 30 percento nella loro partecipazione azionaria. Ciò vuol dire che il Campidoglio, oltre questo 21 percento, dovrà vendere anche un ulteriore 8, visto che Roma Capitale detiene il 51 percento delle quote di Acea. Una battaglia che si combatte a più livelli, quella dell'acqua. Che rischia di lasciare sul campo parecchi vinti a fronte di pochi, pochissimi vincitori.