Cristina Golinucci scomparsa 30 anni fa: “Ci sono nuovi indizi, chiediamo di riaprire il caso”
A quasi trent'anni esatti dalla sua scomparsa, con in mezzo almeno una decina fra chiusure e riaperture delle indagini, sulla vicenda della giovane Cristina Golinucci si sta per attivare ancora una volta la Procura della Repubblica di Forlì. Il legale dei familiari della ragazza, che all'epoca aveva solo 21 anni, ha infatti presentato un esposto per riaprire il caso, puntando su un nuovo elemento: la trascrizione di una intercettazione tra il frate col quale la ragazza si sarebbe dovuta incontrare il giorno della scomparsa, al convento dei cappuccini di Cesena, ed Emanuel Boke, il cittadino di origine africana che era ospite della stessa struttura, già sospettato in passato di essere responsabile in qualche modo della sparizione della giovane e poi finito in carcere per un'altra vicenda, tornando in libertà per fine pena nel 1998. “Il colloquio in questione, la cui trascrizione è negli atti, è del 12 dicembre 1995 -spiega a Fanpage.it il legale della famiglia Golinucci, Barbara Iannuccelli-: venne intercettato perché padre Lino era andato dalla polizia a dire che Boke aveva confessato, in un incontro precedente, l'assassinio di Cristina. A verbale è stato infatti messo che il frate ha riferito come il ragazzo gli avrebbe detto che era stato una bestia e chiedeva perdono a Dio, ecco perché si era deciso di intercettare il successivo colloquio, nella speranza che dicesse la stessa cosa. Sarebbe stata una confessione piena”. Ma ciò non è mai avvenuto, almeno in maniera chiara. Nella trascrizione dell'incontro, depositata ad aprile del 1996, è però riportata la frase “Ma tu non mi sembri tanto convinto” e secondo un nuovo studio sulla registrazione, effettuata dal professor Giampiero Benedetti (perito di rinomata esperienza, che in passato si è anche occupato della strage alla stazione di Bologna) in realtà sarebbe “Ma tu non sei mica andato in convento”. A pronunciare la frase è il frate rivolto al ragazzo e secondo Iannucelli sarebbe “veramente il crollo di tutto l'alibi trentennale di Boke”.
Il caso della scomparsa di Cristina Golinucci rimane ad oggi uno dei gialli irrisolti più controversi nella storia recente del nostro Paese. Una vicenda in attesa di una risposta definitiva da ormai trent'anni, così come la famiglia della giovane. Sua madre, Marisa Degli Angeli, non si è mai arresa, diventando nel frattempo la referente in Emilia-Romagna dell'associazione Penelope, che riunisce familiari e amici delle persone scomparse. Ma cosa si sa ad oggi di quel primo settembre 1992? La ricostruzione è che intorno alle 14, Cristina, che viveva a Ronta, frazione di Cesena, era uscita di casa per sbrigare alcune faccende e che nel tardo pomeriggio avrebbe tenuto un colloquio di lavoro. Prima, però, si era data appuntamento al convento dei cappuccini con padre Lino Ruscelli, per confessarsi e raccontare com'era andato il campo scuola. Era molto religiosa, dava una mano col catechismo in parrocchia, lavorava come ragioniera e stava pensando al suo futuro con Augusto, il fidanzato: suo padre Giovanni, nei giorni successivi alla scomparsa, la descrisse come una ragazza normalissima, “senza grilli per la testa”. All'ipotesi di un allontanamento volontario, in tanti, che la conoscevano bene, non ci hanno quindi mai creduto. Eppure, dopo aver salutato la madre con un “Ciao ci vediamo questa sera” , Cristina non è più rientrata a casa. Così quel giorno stesso, una volta fatto buio, Marisa, Giovanni e Augusto salgono in auto e vanno a cercarla. Prima tappa: il convento dei cappuccini, ma di Cristina nessuna traccia. Parcheggiata lì vicino, però, c'è la sua inconfondibile Fiat Cinquecento azzurra. Per un attimo genitori e fidanzato tirano pertanto un sospiro di sollievo, convinti di averla trovata: essendo tanto legata al frate e alle attività della parrocchia, il primo pensiero è che si sia trattenuta lì dopo il colloquio. Bussano alla porta, ma padre Lino delude ogni aspettativa e fa sapere che in realtà non si era mai presentata a quell'appuntamento. Passa però qualche giorno prima che gli investigatori comincino davvero e prendere sul serio l'ipotesi che ci sia qualcosa dietro quella strana scomparsa.
Nel frattempo, sollecitato da Marisa e Giovanni, padre Lino, confessore e confidente di Cristina, nonché riferimento morale per tutta la famiglia, si chiude nel silenzio, contraddicendosi anche sulla sua versione dei fatti. Prima dice di aver aspettato la ragazza sul portone dopo che lei gli aveva annunciato la visita al telefono, poi che dormiva o poi che era impegnato e che, comunque, nessuno ha bussato. I genitori della giovane si convincono che il religioso sappia qualcosa di più di ciò che dice e per verificare se davvero sia il caso di escludere che la 21enne non sia mai entrata in quel convento, si decide di effettuare una perquisizione, con tanto di cani cinofili. Il frate però sbatte le porte in faccia a inquirenti e familiari, ritenendo offensiva la perquisizione e, di fatto, facendo calare ulteriormente il silenzio sulla vicenda. Nel 1995, però, ecco un colpo di scena: il caso torna alla ribalta delle cronache per lo stupro di una ragazza, non lontano da dove è scomparsa Cristina, che porta alle manette per Emanuel Boke, un extracomunitario di origine ghanese che all'epoca era ospite del convento: aveva 28 anni, faceva il muratore ed era rimasto dai cappuccini anche nei tre anni successivi. Nei giorni in cui è in cella, va a trovarlo proprio padre Lino, il quale, un anno dopo quel colloquio, riferisce ai carabinieri una frase detta da Boke: "Cristina l'ho uccisa io, sono un animale". Boke, però, successivamente ritratta e le indagini, mai veramente ripartite, si arrestano di nuovo. Nel 1998, dopo aver scontato la condanna per stupro, accetta di incontrare i genitori della sua presunta vittima, ma Boke, ancora una volta si dimostra reticente e l'incontro finisce con un nulla di fatto.
Nel 2010, su pressione della famiglia, un mese dopo il ritrovamento dei resti della Elisa Claps a Potenza, la Procura di Forlì riapre l'inchiesta. Stavolta la Scientifica di Bologna e di Cesena entrano nel convento armati di georadar ed effettivamente nei sotterranei ci sono vecchie ossa, ma appartengono a frati vissuti nel convento. Di Cristina, invece, non ci sono tracce. Ma nel frattempo, venuti a mancare sia il frate confidente della giovane a ottobre 2021, che papà Giovanni vent'anni prima, mamma Marisa continua ad andare avanti nella sua ostinata ricerca della verità, affiancata dal legale e dall'associazione che guida (e che ha fondato) a livello regionale. Ancora oggi nessuno sa dove si trovi il corpo di Cristina e neppure dove si trovi Boke. “Sappiamo solo che adesso ha 58 anni” spiega l'avvocato. “Dobbiamo trovarlo e infatti il senso dell'istanza di riapertura è proprio questo. Tecnicamente, noi fondiamo la richiesta sul dato tecnico della nuova trascrizione dell'audio, che sconfessa tutte le dichiarazioni anche del frate rispetto allo stesso Boke. Cristina aveva un appuntamento con padre Lino alle 14.30 -prosegue Iannucelli-. Abbiamo un testimone oculare che conferma come la sua auto si trovi già lì a quell'ora, con il frate che, mentre la aspetta, esce fuori dal convento e si guarda intorno. Il testimone gli chiede se stesse cercando qualcosa e lui risponde: ‘Aspetto una ragazza, vedo la sua auto, ma non lei'. Così rientra in convento. Boke – aggiunge il legale- nel 1994 ha violentato e tentato di violentare due ragazze, venendo poi condannato a 5 anni di carcere e definito, nella sentenza in appello che conferma la pena in primo grado, come uno squilibrato mentale. Alla richiesta di riapertura abbiamo lavorato per mesi, analizzando tutte le carte rinvenute nel fascicolo (l'istanza è di 50 pagine e 115 allegati) e chiedendo non solo di cercare Boke, ma anche quantomeno di ascoltarlo -conclude Iannucelli-. In trent'anni non è stato mai sentito da nessuno, nemmeno di striscio come persona informata sui fatti. Il nostro lavoro, insieme all'associazione Penelope, è tutto per dare almeno a Marisa un po' di giustizia”.