Crisi climatica, sentenza storica della Corte Europea: “Gli Stati hanno l’obbligo di agire”
Nella giornata di oggi la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (o Cedu), un tribunale internazionale con sede a Strasburgo che vigila sul rispetto dei diritti umani in 46 paesi, ha affrontato tre cause del tutto peculiari. Si trattava di cosiddette climate litigations, ovvero cause climatiche. Processi in cui associazioni o singoli cittadini denunciano multinazionali o governi – come in questo caso – per le loro responsabilità rispetto al riscaldamento globale, e alle drammatiche conseguenze che questo comporta. I giudici, riuniti a Strasburgo, hanno emesso la loro sentenza su tre diverse cause: due sono state giudicate inammissibili, ma la terza è stata accolta. E gli attivisti in festa già parlano di «risultato storico».
Carême e Duarte: le cause perse
Andiamo con ordine. Il primo dei tre processi contrapponeva sei giovani cittadini portoghesi al governo del loro Paese e di altri 32. I querelanti, guidati dall’attivista Agostino Duarthe, sostengono che la crisi climatica mette a rischio quei diritti umani su cui la Corte vigila, e che il proprio governo e gli altri citati non facciano abbastanza – pur avendone le possibilità – per fermare il riscaldamento globale e quindi garantire loro quei diritti. La giovane età di chi ha portato avanti la denuncia è per l’accusa un argomento a favore: più si è giovani più si ha tempo per soffrire delle peggiori conseguenze del clima che muta – è il ragionamento. I giudici, però, gli hanno dato torto. La Corte ha ritenuto di non poter decidere su quella sequela di Stati senza andare oltre i limiti del proprio mandato. La decisione, quindi, sarebbe eventualmente applicabile al solo Portogallo. Ma anche qui le toghe hanno ritenuto di non procedere. La Cedu, infatti, può intervenire solo dopo che sono state tentate tutte le strade possibili nei tribunali nazionali. I sei querelanti, invece, si sono rivolti direttamente alla Corte Europea senza passare dai giudici del proprio paese. Decisione finale.
Delusione anche per un altro caso, «Carême v. France». Damien Carême è un cittadino francese, ex sindaco della cittadina francese di Grande-Synth ed ex parlamentare europeo nel gruppo dei Verdi. La città di Grande-Synth, in cui Carême è residente, è particolarmente esposta al rischio di erosione dovuto anche alla crisi climatica: si trova infatti sull’oceano Atlantico, in una zona caratterizzata da grande fragilità idrogeologica. Anche in questo caso il querelante riteneva che il suo governo non avesse fatto abbastanza per proteggere lui e la sua famiglia dalle possibili violazioni dei diritti umani conseguenti al riscaldamento globale. Ma anche in questo caso la Corte gli ha dato torto. La decisione è stata motivata da una circostanza molto specifica: pur essendo ancora residente a Grande-Synth, Carême vive a Bruxelles. E pertanto non ha motivo di temere che i suoi diritti vengano meno in base alla sola residenza riportata sulla carta d’identità. Un punto debole cruciale nella causa che, forse, poteva essere previsto. «Questo sembra un motivo stupido per perdere. Ci sono molte persone che vivono in Francia e che sono minacciate dal cambiamento climatico. Perché le ONG hanno scelto qualcuno che vive a Bruxelles?» è il commento su X del giornalista specializzato in questioni ambientali Joe Lo.
Le vecchiette per il clima che vincono contro i governi
La giornata di Strasburgo si è aperta insomma con due cattive notizie per il mondo del clima. Ma è al terza causa a far stappare lo spumante agli attivisti. Si tratta di una causa unica già dal nome: «Verein KlimaSeniorinnen Schweiz and Others v.Switzerland», le vecchiette per il clima contro la Svizzera. Si tratta di un’associazione di anziane donne elvetiche che, come nei casi precedenti, ritiene i propri diritti violati per via dell’inazione del governo rispetto alla crisi climatica. I giudici, stavolta, hanno dato ragione a chi denunciava e torto alla difesa dell’esecutivo di Berna. La Svizzera, scrivono i giudici, «non ha adempiuto agli obblighi previsti dalla Convenzione in materia di cambiamenti climatici. Vi erano state lacune critiche nel processo di creazione del quadro normativo nazionale pertinente, tra cui l'incapacità delle autorità svizzere di quantificare, attraverso un bilancio del carbonio o in altro modo, i limiti delle emissioni nazionali di gas a effetto serra. La Svizzera non ha inoltre raggiunto gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra fissati in passato». La nazione alpina avrebbe così violato l’articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani, che garantisce la vita familiare e privata. Anche l’articolo 6, l’accesso alla giustizia, è stato infranto: i tribunali svizzeri si sarebbero infatti rifiutati di entrare nel merito della causa – poi portata alla Cedu – senza valide ragioni.
Perché è così importante?
La Corte europea per i diritti dell’uomo, a dispetto del nome, non ha a che fare con l’Unione Europea e non ha giurisdizione solo sull’Europa. Garantisce il rispetto dei diritti garantiti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo in tutte le nazioni firmatarie: tutta l’Ue, ma anche Regno Unito, Turchia, Norvegia, Azerbaijian, Svizzera, Armenia, Georgia. La decisione di ieri segna un precedente: se un’associazione di anziane svizzere ha dimostrato che il proprio governo non fa abbastanza per fermare la crisi climatica – e che questo è illecito – lo stesso sarà verosimilmente valido in cause simili intentate in Italia, in Francia, in Grecia o in qualunque altro paese interessato. «Aspettiamoci molte altre di queste cause», è il commento conclusivo di Joe Lo.