La storia si ripete: trentamila persone in piazza – dice la Questura – per festeggiare lo scudetto dell’Inter, così come un anno fa, o quasi – era la notte tra il 17 e il 18 giugno del 2020 – migliaia di persone scesero in piazza a Napoli a festeggiare la vittoria della loro squadra nella finale di coppa Italia contro la Juventus.
Anche allora, come oggi, l’Italia pensava che il peggio fosse passato, e vedeva la luce in fondo al tunnel. Allora come oggi pochi giorni prima – il 15 giugno per la precisione – era iniziata la cosiddetta “fase 3”, con l’apertura dei cinema, degli spettacoli aperti al pubblico, delle sale teatrali e delle sale da concerto. Anche allora, ancora più di oggi, l’epidemia di Covid-19 sembrava in netta remissione: il 17 giugno, il bollettino della protezione civile raccontava di 328 contagi e 23 decessi e 163 persone in terapia intensiva, quasi niente in confronto ai 9mila casi, ai 144 morti di ieri e alle 2524 persone in terapia intensiva, che pure ci sembrano pochissimi rispetto solo a qualche settimana fa.
Rispetto ad allora non c’erano i vaccini. O meglio, non c’era un italiano su quattro vaccinato con la prima dose, e uno su dieci con la seconda. Però, se è vero che oggi le cose vanno comunque meglio rispetto a qualche settimana fa – il picco della terza ondata è stato il 25 marzo -, va anche detto che allora il lockdown era finito il 17 maggio con 909 casi e 175 morti. Oggi i morti sono comunque più di allora, e i casi dieci volte tanto.
Ecco perché il clima da “liberi tutti” di piazza Duomo a Milano rischia di essere pericolosissimo, più di ogni possibile rischio ragionato. Perché potrebbe essere il viatico a un’ulteriore rilassamento, più figlio di paure per l’ordine pubblico che per la situazione sanitaria. In un contesto, l’ha detto oggi il virologo Fabrizio Pregliasco, lo ripetono da giorni quasi tutti i suoi colleghi, in un contesto nel quale sarà fisiologico un aumento dei casi, come del resto sta accadendo in molte zone di Paesi super vaccinati come il Regno Unito o gli Stati Uniti d’America.
L’obiezione la conosciamo: con l’80% degli over 80 e il 60% degli over 70 vaccinati, il rischio di un ritorno all’inferno dovrebbe essere scongiurato. Eppure, lo sappiamo bene, questo virus ha dimostrato di sapere come sorprenderci. L’ha fatto con la variante inglese, dopo Natale, quando pensavamo di aver chiuso la parentesi della pandemia assieme al 2020. L’ha fatto in Florida, diffondendosi come mai prima in spregio a chi diceva che si sarebbe depotenziato col caldo e la vita all’aria aperta. L’ha fatto in India, con la terribile recrudescenza di queste ultime settimane.
L’ha fatto, ogni volta, giocando sulla nostra sottovalutazione del rischio, confidando nella nostra paura per i contraccolpi economici, nella nostra voglia di tornare alla normalità. Lo scenario peggiore lo conosciamo anche oggi, del resto: via le restrizioni in un mondo di vaccinati, il virus torna a circolare, innocuo o quasi. E a furia di circolare, produce varianti in grado di resistere al vaccino, obbligando a nuove campagne vaccinali e a nuove fisiologiche chiusure.
Tutto lascia pensare che sarà così anche nei prossimi mesi. Ecco perché allora, forse, per evitare di ritrovarci a chiudere di nuovo, sarebbe il caso di fare passi un po’ più prudenti oggi. Evitando fughe in avanti, feste di piazza, baci, abbracci e cori senza mascherine per i vaccinati, così come comincia a chiedere qualcuno, e viaggi all’estero, magari nel nuovo mondo libero dei Paesi Covid free o quasi, senza più protezioni o distanziamento sociale, ma proprio per questo pericolosamente disposti a monetizzare questo loro stato offrendo ospitalità a chiunque.
Per uno strano scherzo del destino, credere che sia finita, o quasi finita, è il modo peggiore per farla finire davvero, questa maledetta pandemia.