Covid Germania, medico italiano a Fanpage.it: “In rianimazione il 90% No Vax, molti sono giovani”
La Germania è stata investita dalla quarta ondata di contagi. Lo dicono i numeri, che nelle ultime 24 ore sono impietosi e parlano di 68.366 nuovi contagi e 266 morti. Ma per ogni numero ci sono storie, vite di uomini e donne che spesso devono ingaggiare una vera e propria battaglia contro il virus per sopravvivere. Federico Foschi è uno dei medici che li aiuta a vincerla: ha 35 anni, è originario di Civitavecchia ma dal 2016 lavora all'Ospedale Universitario della Charité, la facoltà di medicina dei due maggiori atenei di Berlino nonché uno dei più prestigiosi policlinici universitari d'Europa. Vi è arrivato come medico specializzato in medicina interna, ma attualmente vi lavora come specializzando in Rianimazione e da maggio del 2020 è quotidianamente impegnato nella lotta al Covid. Ha curato centinaia di pazienti, a molti di loro ha permesso di sopravvivere ma per molti altri non c'è stato niente da fare e oggi, in un raro giorno di riposo, ha raccontato a Fanpage.it la "prima linea", quella del reparto di Terapia Intensiva alle prese con la quarta ondata, che gli esperti hanno definito "pandemia di non vaccinati".
Federico, raccontaci del tuo lavoro.
Da cinque anni lavoro all'Ospedale Universitario della Charité di Berlino: vi sono arrivato come medico specializzato in medicina interna ma mi sto formando anche come rianimatore. Ho lavorato durante la seconda e terza ondata nel reparto di pneumologia e malattie infettive poi lo scorso settembre sono stato trasferito in terapia intensiva e sono uno degli addetti alla macchina "cuore-polmoni", la cosiddetta ECMO.
Cos'è?
Si tratta della ExtraCorporeal Membrane Oxygenation, una tecnica di circolazione extracorporea utilizzata da anni nei reparti di rianimazione per trattare pazienti con insufficienza cardiaca e/o respiratoria acuta grave, ma che ha avuto la sua "consacrazione" con la pandemia. Per dirla in parole povere, la macchina fa il lavoro dei polmoni che il Covid danneggia e rende inservibili. È l'ultima spiaggia, l'ultima speranza prima della morte dei pazienti: molti, comunque, purtroppo non ce la fanno. Vi hanno accesso, dopo una valutazione preliminare in fase di triage, per lo più giovani: la macchina, infatti, richiede un'attenzione costante da parte dei medici ed è molto dispendiosa a livello di personale. Se per qualche ragione smette di funzionare e non si interviene immediatamente il paziente perde la vita. Nel nostro reparto ci sono 26 posti letto, durante la prima ondata ogni giorno moriva la metà dei pazienti e ancora oggi uno o due al giorno non sopravvive.
Quindi in terapia intensiva finiscono anche pazienti giovani e non solo anziani…
Certo. Vi racconto una storia a lieto fine: qualche mese fa abbiamo ricoverato in rianimazione una ragazza incinta di 34 anni. Aveva contratto il Covid mesi fa durante una festa in famiglia e, non essendosi vaccinata, le sue condizioni sono rapidamente precipitate. Ha portato avanti la gravidanza attaccata alla macchina ECMO, ha avuto molte complicazioni, una dopo l'altra, ma siamo comunque riusciti a farle dare alla luce un figlio sano. Dopo il parto è rimasta in terapia intensiva ancora un mese e mezzo per un totale di 4 mesi in rianimazione ed è stata dimessa dall'ospedale solo una settimana fa in condizioni accettabili. Le conseguenze della malattia però si faranno sentire per gli anni a venire perché ha perso il 30 per cento della capacità polmonare. E le è andata anche bene, perché è potuta tornare a casa.
Ora qual è la situazione nell'ospedale in cui lavori?
C'è stata una breve tregua estiva, come in Italia; in Germania si è vaccinato il 67% della popolazione e circa 20 milioni di persone non hanno ricevuto neppure una dose; tra loro il virus all'inizio dell'autunno ha potuto circolare liberamente. Oggi in ospedale arrivano per lo più pazienti non vaccinati e quelli che finiscono in terapia intensiva sono quasi esclusivamente No Vax, eccezion fatta alcuni vaccinati, circa il 10% del totale, con alle spalle gravi immunodeficienze, ad esempio trapiantati, malati di HIV e chemioterapici. Il più giovane che abbiamo curato aveva 31 anni: abbiamo dovuto intubarlo, ma visto che non bastava dopo 24 ore abbiamo dovuto collegarlo alla macchina ECMO. È tuttora in reparto, se riuscirà a sopravvivere avrà trascorso circa tre mesi in Terapia Intensiva: quando lo dimetteremo non avrà più massa muscolare, avrà perso il 40% del suo peso e avrà serie complicazioni neurologiche. È un No Vax: quelli come lui presentano quadri clinici molto gravi e muoiono tra le 10 e le 30 volte di più dei vaccinati.
Ti sono mai capitati No Vax pentiti?
È raro che me ne accorga perché quando arrivano da noi non hanno più neanche un filo di fiato per parlare. Molti muoiono e non sapremo mai se si sono pentiti della loro scelta. Qualche tempo fa però è arrivato in rianimazione un uomo di 55 anni, un convinto No Vax che aveva solo un po' di diabete e ipertensione: per un mese l'abbiamo tenuto in vita collegato alla macchina cuore-polmoni, poi ha dovuto sostenere un altro mese di riabilitazione polmonare in tracheotomia respirando autonomamente solo poche ore al giorno e avvalendosi del ventilatore polmonare per il resto del tempo. Siamo riusciti a salvarlo e il giorno che è uscito dal nostro reparto siamo andati a salutarlo, come facciamo con tutti quelli che ce la fanno: era seduto su una sedia a rotelle, è scoppiato a piangere e si è scusato per la quantità di lavoro che ci ha dato per tanti mesi. Anche a lui è andata bene, non dovrà servirsi di un ventilatore polmonare per respirare per il resto della sua vita.
Perché, secondo te, molti non si fidano della scienza e dei medici?
Non so, ma noto che i No Vax hanno un modo di comunicare molto efficace. Procedono per aneddoti, raccontano i casi di conoscenti che dopo il vaccino sono stati male e così terrorizzano le persone. Le autorità sanitarie invece parlano solo di dati e statistiche che non sempre bastano per convincere le persone della bontà del vaccino. Vorrei far capire a tutti i pazienti che noi lavoriamo dalla loro parte. Non esiste nessuna dittatura sanitaria; se ci fosse guiderei una Porsche, invece lavoro come un dannato 10/12 ore al giorno, sei giorni su sette, e vado in giro in bicicletta.