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Covid 19

Covid e macelli: perché gli impianti di lavorazioni delle carni diventano focolai di contagio 

Durante la pandemia di Coronavirus i macelli e gli impianti di lavorazione carni sono stati focolai di contagio del Covid-19 sia negli Stati Uniti che in Europa. In Germania di recente sono stati accertati 657 casi positivi tra i lavoratori di un grande impianto nel Nordreno-Vesftalia. Le condizioni di lavoro in queste industrie e l’ambiente refrigerato permette una maggiore sopravvivenza del virus.
A cura di Susanna Picone
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Stati Uniti, Regno Unito e diversi altri Paesi in Europa hanno registrato focolai di Coronavirus all’interno di macelli. Uno degli ultimi è stato accertato in Germania, dove l’azienda Toennies ha annunciato di aver riscontrato 657 casi positivi al Covid-19 tra i lavoratori della sua rete di impianti per la macellazione e la lavorazione della carne nel Nord Reno Westfalia. Altri focolai di Covid sono stati riscontrati in diversi mattatoi del Paese fin dal mese scorso, sollevando preoccupazioni sulle condizioni di lavoro dei dipendenti. Dopo i primi casi, il governo tedesco ha imposto test regolari a tutti i lavoratori della filiera della carne.

Impianti di lavorazioni carni focolai di contagio di Covid-19

Secondo un rapporto pubblicato dal Food and Environment Reporting Network, già nella prima parte del mese di giugno in Europa si contavano 2670 casi confermati di Covid-19 tra i dipendenti di macelli e impianti di lavorazione carne. Oltre alla Germania, focolai si sono verificati in Irlanda, Francia, Olanda, Spagna, e qualcosa è accaduto anche in Italia. Nel Regno Unito di recente un focolaio di Coronavirus è scoppiato all’interno di un impianto di lavorazione della carne del 2 Sisters Food Group, uno dei maggiori produttori alimentari nel Paese, che rifornisce catene di supermercati e fast-food come Marks & Spencer e KFC. Un centinaio di dipendenti si sono messi in auto-isolamento in via precauzionale e per paura di portare il virus a casa.

La catena di montaggio non permette il distanziamento sociale

Negli Stati Uniti oltre 180 impianti di macellazione della carne sono stati colpiti dal Coronavirus e si contano oltre 24.000 contagi e poco meno di cento vittime tra i dipendenti dei macelli e dell’industria di trasformazione delle carni. Un problema, secondo Neal Barnard, medico e fondatore dell’associazione Physicians Committee for Responsible Medicine, sono le condizioni di lavoro in queste industrie e l’ambiente refrigerato che permette una maggiore sopravvivenza del virus. Mantenere le distanze tra i lavoratori è praticamente impossibile: la catena di montaggio non permette il distanziamento sociale e il rischio di contagio è alto. La prima vittima dei macelli negli Stati Uniti – secondo una ricostruzione del Guardian, che ha ascoltato alcuni lavoratori – è stata Elose Willis, che lavorava nella Tyson foods a Camilla, in Georgia, cinque giorni alla settimana, 10 ore al giorno, macellando 100.000 polli. È morta il primo aprile a 56 anni. Sempre il Guardian usa gli aggettivi "caotici e folli" per descrivere i grandi macelli che in molti paesi stanno diventando focolai di Covid-19. Per le particolari situazioni lavorative che si creano in questi luoghi, spesso non è possibile indossare le opportune protezioni o introdurre le misure di distanziamento e disinfezione. In più spesso la forza lavoro è costituita da immigrati, anche irregolari, che vivono in abitazioni affollate.

Macelli e Coronavirus, la situazione in Italia

Qual è la situazione in Italia? Anche nel nostro Paese nei mesi scorsi ci sono stati casi di contagio in una azienda di lavorazioni carni, la "Siciliani spa" di Palo del Colle, nel Barese. Decine di dipendenti del reparto macellazione si sono ammalati. Dopo i primi 5 contagi la Asl ha eseguito 100 tamponi e a quel punto sono emersi nuovi positivi. Il reparto dell'azienda dove lavoravano i dipendenti contagiati è stato temporaneamente chiuso e sanificato. Aldo Grasselli, presidente della Federazione Veterinari-Medici-Farmacisti e Dirigenti Sanitari, ha parlato dei focolai nei macelli al fattoalimentare.it spiegando che possono avere diversi significati: in primo luogo va tenuto presente che il comparto alimentare durante la pandemia è stato più attivo del solito anche per la psicosi che ha portato a fare incetta di alimenti, quindi una delle cause potrebbero essere stati più intensi e serrati i ritmi di lavoro. “Un altro fattore di rischio – dice Grasselli – è indubbiamente legato alla particolare atmosfera degli ambienti di macellazione o sezionamento delle carni dove si fa largo uso di acqua per lavare e pulire al fine di tenere sotto controllo la flora batterica che si concentra in quegli ambienti o particolarmente insalubri per la presenza di feci e sangue animale e conseguentemente l’elevata umidità e il maggior tenore di vapore possono aver aumentato la diffusione del virus da un soggetto asintomatico o paucisintomatico mediante droplet”. In ultimo, a suo parere, non è possibile nascondere “che la macellazione è un lavoro faticoso e pericoloso che generalmente viene assegnato a lavoratori immigrati, scarsamente protetti dal punto di vista contrattuale e sindacale, spesso reclutati da sedicenti cooperative che mascherano forme di caporalato e che assicura bassi salari. Questi lavoratori, quindi, come molti altri della filiera agricolo-zootecnico-alimentare, sono lavoratori poveri, che vivono in case umili o addirittura in baracche fatiscenti, spesso sovraffollate, ove la promiscuità concorre a favorire la diffusione di patologie infettive e contagiose, massimamente se altamente contagiose come il Covid-19”.

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