Quando pensiamo alla storia dell’essere umano, a come siamo passati da gruppi nomadici e isolati a un mondo globalizzato, interconnesso e incardinato su una sostanziale sedentarietà, tendiamo a fare un errore cruciale, e cioè a pensare che questo decorso sia il prodotto naturale e inevitabile delle caratteristiche della nostra specie, quando in realtà un ruolo cruciale l’ha avuto il clima. Stando alle ricerche più recenti l’essere umano anatomicamente moderno è presente sul pianeta Terra da almeno 300.000 anni, ha iniziato a migrare 60.000 anni fa e a tracciare i primi solchi del proprio sviluppo linguistico e culturale già 50.000 anni fa. Eppure l’evoluzione della nostra civiltà ha subito un’accelerazione significativa solo a partire da 12.000 anni fa, e questo principalmente perché con la fine dell’ultima era glaciale è iniziato un periodo di relativa stabilità climatica che ha creato condizioni sufficientemente stazionarie e prevedibili perché l’essere umano potesse cominciare a coltivare i campi, stabilire grandi insediamenti urbani e sviluppare rotte di commercio su scala globale.
Questo periodo di sostanziale stabilità ha garantito che negli ultimi 10.000 anni le temperature oscillassero all’interno di valori contenuti, e sulla persistenza di questi valori abbiamo impalcato un’intera civiltà, abbiamo costruito imperi, fatto scoperte scientifiche straordinarie e sviluppato tecnologie che hanno consentito di crescere, riprodurci e diffonderci sempre più velocemente. Ma a un certo punto, all’incirca due secoli fa, abbiamo inventato il motore a vapore, poi quello a combustione interna, abbiamo cominciato a bruciare carbone e petrolio, il consumo di acqua, di suolo e di biomassa è cresciuto esponenzialmente, così come è cresciuta la quantità di gas serra che sputavamo nell’atmosfera. Il risultato è che oggi la stabilità che ci ha consentito di raggiungere quei ritmi, il piano su cui abbiamo eretto un’intera civiltà, è inevitabilmente compromessa. Le temperature stanno aumentando, alcuni dei processi che hanno finora ci hanno tenuti lontani dal collasso stanno collassando, e il mondo è un posto sempre meno prevedibile.
Attenzione: il problema non sono solo le emissioni, il nostro pianeta sta cambiando su diversi fronti, e l’unico modo che abbiamo per impedire che le condizioni che rendono possibile la sopravvivenza della nostra civiltà è individuare quali siano le soglie che abbiamo già superato e quali quelle che siamo ancora in tempo a non superare. Per gestire un quadro così complesso, nel 2009 un gruppo di 28 scienziati capitanati dallo svedese Johan Rockström, tra i quali spiccava il Premio Nobel Paul Crutzen, ha proposto uno schema comprensivo di 8 “limiti planetari” (poi aggiornati a 9), relativi a quei processi fondamentali per la tenuta della nostra civiltà che oggi sono minacciati dallo sviluppo della civiltà stessa.
“Oggi siamo diventati così dipendenti dall’investimento che abbiamo fatto sul nostro modo di vivere, e da come abbiamo organizzato la società, la tecnologia e l’economia intorno ad esso, che per poter immaginare e mantenere uno scenario planetario adatto alla nostra sopravvivenza dobbiamo usare come punto di riferimento gli intervalli entro i quali i processi del Sistema Terra variavano nell'Olocene". In poche parole, per tenerci alla larga dal collasso ambientale ed economico che ci attende, dobbiamo fare di tutto per non superare questi limiti planetari. Il problema è che 6 su 9 li abbiamo già superati.
1. Crisi climatica (superato)
Oggi sappiamo che la temperatura media della Terra è aumentata di 1,2 gradi centigradi rispetto ai valori pre-industriali, sappiamo che la quantità di anidride carbonica che abbiamo sputato nell’atmosfera negli ultimi due secoli continuerà a riscaldare il nostro pianeta nei decenni a venire e abbiamo visto negli scorsi articoli come questo aumento stia già compromettendo tanti processi e dinamiche che stanno alla base della nostra civiltà. Sappiamo anche che l’unico modo per arrestare questo processo è ridurre le emissioni al minimo e fare di tutto perché ritornino al di sotto della soglia di guardia. Ma qual è questa soglia? Prima della Rivoluzione Industriale la concentrazione di gas serra nell’aria era equivalente a 280 parti per milione (ppm), ma il valore massimo postulato da Rockström e colleghi era di 350 ppm. L’abbiamo superato già nel 1988. Poi, nel 2013, abbiamo scollinato oltre i 400 ppm. Da allora questo valore ha continuato a crescere, nel 2022 ha superato i 420 ppm. Queste concentrazioni molto probabilmente ci porteranno di qui ai prossimi decenni a superare gli 1,5 gradi al di sopra dei livelli pre-industriali, il che creerà moltissimi problemi e renderà la situazione ancora più instabile, ma sarà comunque uno scenario enormemente più vivibile dei 2-3 gradi verso cui siamo diretti. Per questo è fondamentale ridurre al minimo le emissioni il prima possibile.
2. Cambiamento nell’integrità della biosfera (superato)
L’estinzione di una specie, sia essa animale o vegetale, non è mai un evento isolato. Per capire perché è utile considerare la biosfera come un grande organismo distribuito e fittamente interconnesso, la cui funzionalità e il cui equilibrio dipendono dalle specie che lo compongono, dalla loro diversità e dal loro rapporto con le risorse esistenti. Per questo, il limite planetario che inizialmente era chiamato “perdita della biodiversità” è stato successivamente aggiornato in “cambiamento nell’integrità della biosfera”. Un indice che può aiutarci a tenere sotto controllo questo aspetto misura la diversità genetica e si basa sulla quantità di estinzioni per ogni milione di specie in un singolo anno (E/MSY). Se il valore pre-industriale era di 1, la soglia individuata dal gruppo del 2009 è di 10 E/MSY. Noi abbiamo superato questo limite di parecchio, considerando che il valore nei vari luoghi del mondo oscilla tra 100 e 1000. È per questo che, negli ultimi anni, gli esperti non esitano a parlare di “sesta estinzione di massa”.
3. Cicli biogeochimici (superato)
Con il termine “ciclo biogeochimico” si indica il percorso chiuso seguito da un elemento chimico all’interno dell’ecosfera, e quelli dell’azoto e del fosforo sono particolarmente importanti per il nostro sostentamento. Gli organismi viventi necessitano di azoto per la formazione di proteine e acidi nucleici, ma nella stragrande maggioranza dei casi non sono in grado di assorbirlo direttamente dall’atmosfera. Le piante possono assimilare azoto tramite composti azotati, come nitrati, nitriti e sali d’ammonio disciolti nell’acqua che arriva alle radici. L’azoto assimilato dalle piante passa poi agli animali che se ne cibano e successivamente lo rilasciano nel terreno per decomposizione. L’attività umana interferisce con il funzionamento di questo ciclo, principalmente per via dell’utilizzo di combustibili fossili e fertilizzanti che rilasciano un eccesso di azoto che può, ad esempio, causare una proliferazione di alghe soffocante per la fauna ittica, o creare problemi di inquinamento dell’aria e danneggiamento allo strato di ozono. Effetti simili sono legati all’utilizzo di composti fosfati. L’interferenza umana su questi due cicli era sostanzialmente nulla nel periodo pre-industriale, ora ha già superato abbondantemente i limiti di guardia. A fronte di una soglia limite di 62 milioni di tonnellate di azoto antropogenico sottratto all’atmosfera oggi siamo già a quota 150; e a fronte di un limite di 11 milioni di tonnellate di fosforo rilasciato negli oceani, oggi abbiamo raggiunto i 22 milioni di tonnellate.
4. Acidificazione degli oceani (non superato)
Si parla di “serbatoio di carbonio” (o di “pozzo di carbonio”) per indicare quei depositi, naturali o artificiali che siano in grado di assorbire carbonio sottraendolo all’atmosfera, mitigando così l’effetto serra legato all’eccesso di emissioni. Uno dei pozzi di carbonio naturali più importanti è l’oceano, che oggi assorbe il 25% di tutta l’anidride carbonica emessa. Il problema è che, dissolvendosi negli oceani, l’anidride carbonica forma acido carbonico, andando così a ridurre il pH dell’acqua, con effetti nocivi per la vita marina. L’acidificazione è problematica soprattutto per i coralli, già oggi decimati dal riscaldamento delle acque. Per misurare questo processo ci si affida allo stato di saturazione del carbonato di calcio: se in epoca pre-industriale questo valore era di 3,44, oggi è sceso a 2,9. Considerando che il valore limite è di 2,75, questo significa che sotto questo aspetto siamo ancora entro i confini di stabilità, ma di questo passo non ci vorrà molto prima di scollinare anche su questo fronte.
5. Cambiamento dei sistemi terrestri (superato)
Uno degli impatti più significativi dell’attività umana riguarda il consumo di suolo, ossia la quantità di territori naturali (foreste, praterie, zone umide, etc.) che vengono modificati per poter essere sfruttati. È un processo particolarmente problematico perché, oltre a ridurre la quantità di territori naturali, e dunque l’estensione e la funzionalità di alcuni ecosistemi, va a influire anche su altri processi qui citati, come ad esempio la perdita di biodiversità, i cicli dell’azoto del fosforo e la disponibilità di acqua dolce. Gli effetti più lampanti sono misurabili a livello locale, ma la combinazione aggregata dei singoli impatti ha ripercussioni sui processi globali del Sistema Terra. Per semplicità, il consumo di suolo globale viene misurato in termini delle foreste boreali, il 50% delle foreste temperate e l’85% delle foreste tropicali. Anche questo limite è stato pienamente superato. Oggi la quantità di foreste non trasformate a uso umano supera di poco il 60%.
6. Disponibilità di acqua dolce (superato in parte)
Come i cicli dello zolfo e del fosforo, anche il ciclo idrologico globale subisce le conseguenze dell’intervento umano. Nei secoli abbiamo deviato il corso dei fiumi, sfruttato bacini idrici, prelevato enormi quantità per l’irrigazione, la produzione industriale e energetica, e attraverso il cambiamento dei sistemi terrestri abbiamo influito sui flussi di vapore acqueo. Tutto ciò, come abbiamo visto, sta portando l’acqua a diventare un bene di scarsità, che in futuro non potremo più permetterci di sprecare. L’ultimo rapporto IPCC ha rivelato come già oggi 4 miliardi di persone nel mondo vivano in condizioni di scarsa disponibilità idrica. Il limite planetario è stato fissato a 4000 chilometri quadrati di consumo idrico l’anno, oggi ne consumiamo all’incirca 2000 chilometri quadrati, in grandissima parte (70%) per l’agricoltura. La domanda idrica però è già alle stelle, ed è destinata ad aumentare, soprattutto se la la crescita demografica globale continuerà a combinarsi con una crescita economica incontrollata. Parallelamente la crisi climatica porterà la disponibilità idrica a diminuire. Per questo alcuni idrologi hanno criticato questo limite, sostenendo che vada abbassato di molto. Inoltre, di recente questo limite planetario è stato aggiornato in modo da includere anche la cosiddetta “acqua verde”, ossia l’acqua presente nelle precipitazioni e nel suolo, quella assorbita dalle piante e quella in forma gassosa. Sotto questo punto di vista, il limite di sicurezza è già stato abbondantemente superato.
7. Riduzione dello strato di ozono (non superato)
Prima che la crisi climatica arrivasse a occupare (giustamente) il centro della discussione ambientale, una delle questioni più dibattute riguardava il cosiddetto “buco nell’ozono”, ossia il fenomeno per cui la riduzione della concentrazione di ozono nella stratosfera causava un assottigliamento marcato dell’ozonosfera in corrispondenza dei poli. Lo strato d’ozono è fondamentale perché scherma gran parte delle radiazioni ultraviolette più dannose per la vita umana e lo stato degli ecosistemi. Se oggi siamo al di sotto della soglia limite è merito del Protocollo di Montreal che, a partire dal 1989, ha progressivamente eliminato le emissioni degli alogenuri alchilici (come i clorofluorocarburi) responsabili dell’assottigliamento dell’ozonosfera. Oggi la concentrazione di ozono è più vicina ai valori pre-industriali che al limite planetario fissato.
8. Quantità di particolato atmosferico (non del tutto quantificabile)
L’attività umana produce polveri sottili principalmente attraverso la combustione di idrocarburi o rifiuti, questo particolato poi tende a disperdersi nell’atmosfera e negli oceani, creando un’ampia gamma di problemi. Oggi sappiamo che le polveri PM 2,5 sono responsabili del 3% dei decessi mondiali riconducibili a patologie cardio-polmonari, nonché del 5% dei tumori a polmoni, bronchi e trachea. Ma oltre ai danni alla salute umana, riscontrabili prevalentemente nelle città più inquinate, il particolato atmosferico di origine antropica incide sulle piogge acide e il degrado delle foreste, oltre che sulla formazione delle nuvole e altri fenomeni climatici. Ancora non abbiamo dati a sufficienza sul comportamento e le interazioni di queste particelle, ragion per cui non è stato ancora individuato un limite quantificabile.
9. Livello di inquinamento chimico (superato)
Pesticidi, metalli pesanti, microplastiche, scorie radioattive. La quantità e la varietà di sostanze inquinanti persistenti che abbiamo rilasciato nell’ecosistema soltanto nell’ultimo secolo ci ha portato ben oltre i livelli di guardia. E questo benché un livello di guardia specifico non sia ancora stato individuato. Il perché è presto detto. Parliamo di 100.000 sostanze diverse rilasciate nell’ambiente ad opera dell’essere umano. Alcune di queste, come il DDT e le diossine, sappiamo già da tempo quali effetti possano avere sull’organismo umano e sull’ambiente, per molte altre invece non abbiamo dati a sufficienza. Per dire, sappiamo che le nanoplastiche sono ormai ovunque (persino nei ghiacci polari e nel sangue umano), ma non è ancora chiaro che tipo di ricadute stiano avendo sulla nostra salute e sulla funzionalità degli ecosistemi in cui vengono disperse. È noto che alcuni composti organici persistenti abbiano effetti gravi sullo sviluppo, la salute e le capacità riproduttive di molti animali, ma ancora non siamo in grado di individuare uno spazio operativo sicuro. Tuttavia, il fatto che la produzione e il rilascio di queste sostanze sia già a un livello tale da impedirne un’efficace valutazione e monitoraggio, per molti è sufficiente a stabilire che il limite sia già stato superato.
Da questo elenco risulta chiaro come l’attività umana sul pianeta Terra abbia ricadute sfaccettate, interconnesse, spesso difficili da prevedere o valutare. Il fatto stesso che questi limiti vengano costantemente aggiornati, e che periodicamente vengano presi in considerazione nuovi aspetti prima trascurati, restituisce bene quanto complessa sia la problematica ambientale. Non è solo un problema energetico, e non risolveremo questa crisi soltanto riducendo le emissioni, c’è da ideare un modello di sviluppo e di cura che tenga conto di tutte queste dinamiche e del sistema complesso in cui interagiscono. Se non lo faremo, ci ritroveremo a tirare una coperta sempre più corta, ritrovandoci sempre più esposti alle conseguenze di un gioco a credito dissennato che sta raggiungendo il limite ultimo.