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Cosa sono i cimiteri dei feti e perché la destra li sta usando per colpire le donne

Fratelli d’Italia pensa estendere la pratica dei cimiteri dei feti: ecco quali sono i problemi che porta con sé questa proposta.
A cura di Jennifer Guerra
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Feti sepolti al cimitero Flaminio (AP Photo/Gregorio Borgia)
Feti sepolti al cimitero Flaminio (AP Photo/Gregorio Borgia)

Non sono bastate le testimonianze delle donne coinvolte. Non è bastata la risonanza della stampa internazionale, scioccata da quanto è permesso in Italia. Non sono bastate le interrogazioni parlamentari. A quasi due anni dalla denuncia di una donna che trovò il proprio nome e cognome e la data del suo aborto al cimitero Flaminio di Roma, in Italia si è tornati a parlare della possibilità di estendere a livello nazionale la pratica dei cimiteri dei feti. A rilanciare la proposta è stato un esponente di Fratelli d’Italia, Luca De Carlo, intervistato da Tpi in un reportage su quello che ormai è stato ribattezzato il “laboratorio Marche”, ovvero il modello che un eventuale governo Meloni ha in mente per i diritti riproduttivi in Italia: limitato accesso all’aborto, contrasto al gender e cimiteri dei feti.

Nel 2020, mentre raccoglievo informazioni sui movimenti antiabortisti nel nostro Paese, decisi di provare a contare e mappare i cimiteri dei feti in Italia, trovandone circa una cinquantina, sebbene potrebbero essere molti di più. Sebbene infatti il tema sia emerso solo negli ultimi anni, questi cimiteri esistono da anni e sono del tutto legali. Nella maggior parte dei casi si tratta infatti di aree apposite presenti in cimiteri già esistenti, in cui vengono sepolti in genere anche neonati e bambini piccoli. Non si tratta quindi di cimiteri costruiti con lo scopo di inumare esclusivamente feti. La loro sepoltura può essere infatti obbligatoria o facoltativa a seconda delle settimane di gestazione, come riporta il regolamento di polizia mortuaria del 1990: i feti al di sopra delle 28 settimane di età intrauterina sono considerati “nati morti” e per loro vigono le stesse regole di sepoltura come per una persona nata; anche per quelli tra le 20 e le 28 settimane vige l’obbligo di sepoltura, che viene espletato dall’Asl a meno che non ne facciano richiesta i genitori; i prodotti del concepimento sotto le 20 settimane, infine, sono gestiti dall’ospedale attraverso una procedura chiamata “termodistruzione”, ma anche in questo caso i genitori hanno 24 ore di tempo per farsene carico. Queste disposizioni valgono per ogni tipo di gravidanza interrotta, sia per un aborto volontario, che per uno spontaneo o terapeutico.

Il problema, quindi, non sta nell’esistenza in sé dei cimiteri dei feti o nella loro sepoltura, tema che pertiene a una sfera personale insindacabile e alla sensibilità di ciascuno, ma restano irrisolte tre questioni. La prima è quella dell’assenza di informazioni sul tema. La gestione di feti e prodotti del concepimento normalmente non viene menzionata nei consensi informati e non viene discussa dal personale sanitario, per cui i genitori spesso non sanno nemmeno di poter scegliere. La seconda è che la legge è molto vaga e permette che delle associazioni di stampo religioso possano entrare negli ospedali, prelevare i feti e seppellirli attraverso una cerimonia religiosa funebre, senza che nessuno possa dire o fare nulla. Il regolamento dice infatti che a poter fare richiesta della sepoltura sono i genitori o “chi per essi”, ovvero anche queste associazioni che stipulano accordi con gli ospedali e le Asl. Il più longevo e articolato di questi gruppi è Difendere la vita con Maria (Advm), fondato a Novara, che opera da più di 20 anni in tutto il territorio italiano.

Il terzo problema è quello della privacy. Può accadere, come a Roma, che qualcuno pensi sia legittimo, o forse addirittura doveroso, rendere riconoscibile il nome della donna che ha abortito mettendo il suo nome sulla tomba del feto. Al momento per questa vicenda è in corso un’azione popolare contro l’ospedale San Giovanni, l’Asl Roma 1 e l’Ama, la municipalizzata che gestisce i servizi cimiteriali romani, intentata dai Radicali e da Francesca Tolino, una delle donne che hanno trovato il proprio nome su una croce. La querela presentata da 18 donne con l’associazione Differenza Donna è stata invece archiviata, pur riconoscendo il danno inflitto. E anche se il comune di Roma ha stabilito che è illegittimo mostrare i nomi sui cippi, al cimitero Flaiano sono ancora visibili.

Negli anni, gli unici tentativi di regolare questo tema spinoso sono arrivati dall’area antiabortista con l’appoggio delle amministrazioni di destra e centrodestra (e spesso anche con l’assenso dell’opposizione). In alcune regioni, come in Lombardia, nelle Marche e in Veneto, vige una legge che obbliga l’Asl a inumare tutti i feti indipendentemente dalle settimane di età e a informare chi interrompe una gravidanza della possibilità di sepoltura. Tuttavia, se è vero che l’attuale regolamento non funziona e dà luogo ad abusi, nemmeno la strada dell’obbligo indifferenziato è percorribile. Parlando con molte donne che hanno avuto un’Ivg o un aborto spontaneo in Veneto, nessuna ricorda di essere stata informata della sepoltura del feto. In più, pensare che l’inumazione e la collocazione del feto in un cimitero sia un desiderio che tutte le donne condividono significa non avere alcun riguardo rispetto alla loro libertà di scelta, dignità e sensibilità religiosa. Qui la 194 che alcuni evocano c’entra poco, e infatti molte delle mozioni e delle proposte di legge per la realizzazione dei cimiteri dei feti riportano correttamente che non si tratta di una violazione di quella legge. Il vero problema è che la sepoltura obbligatoria infantilizza le donne, pretende che tutte provino gli stessi sentimenti, schiaccia l’esperienza dell’aborto e dell’Ivg (già di per sé due cose completamente diverse), all’unica dimensione del lutto.

Basta vedere il tono con cui le notizie delle aperture o riqualificazioni dei cimiteri dei feti vengono date da sindaci, assessori e volontari che si occupano delle sepolture: “Uno spazio per il dolore di quei genitori che non hanno mai potuto vedere e abbracciare il loro bimbo: un esempio di civiltà, nel rispetto della vita sin dal suo concepimento”, per contrastare “un’usanza ormai inaccettabile sotto i punti di vista morale ed umano”, “un gesto di rispetto verso resti mortali di quella che per noi è vita umana, e dunque qualcosa di sacro”, perché l’aborto “è un evento tragico, anche quando volontario […]. Per i genitori rappresenta un evento traumatico, uno shock emotivo che può causare un lutto profondo”. Queste iniziative, infatti, spesso si accompagnano ad altre che mirano a dissuadere o colpevolizzare l’aborto, come l’istituzione di “registri dei bambini mai nati”, finanziamenti ad associazioni antiscelta o offerte di denaro alle donne per non abortire.

La Lega e Fratelli d’Italia sono senz’altro i partiti che più hanno spinto sul tema. Il partito di Meloni, in particolare, a novembre del 2021 aveva presentato un disegno di legge in merito, di cui si è tornati a parlare in questi giorni dopo le dichiarazioni di De Carlo. Il ddl proponeva l’obbligo di sepoltura di tutti i feti anche in assenza della richiesta dei genitori. FdI ci ha poi riprovato nella discussione sulla riforma dei servizi funerari, che è stata interrotta dalla caduta del governo, proponendo un emendamento che avrebbe reso la tumulazione obbligatoria. Non sappiamo come sarebbe andata a finire se la riforma fosse arrivata a compimento e se qualcuno si sarebbe realmente opposto a questa iniziativa (cioè senza citare a sproposito la 194). Quello che sappiamo è che Fratelli d’Italia continuerà a presidiare questo territorio, e se salirà al governo non avrà nemmeno bisogno di infilarlo in una riforma sui cimiteri di scarsa risonanza mediatica.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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