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Cosa rischiano i tre scommettitori che hanno truccato il Gratta e Vinci per intascare 10 milioni

In Puglia tre persone hanno incollato due numeri vincenti su un Gratta e Vinci per cercare di intascare il premio da 10 milioni di euro. Una volta beccati dalla commissione di controllo per le vincite, il trio è finito sotto indagine. Le accuse potrebbero costare una pena da 1 a 5 anni, come spiega a Fanpage.it l’avvocato penalista Giuseppe Di Palo.
A cura di Giovanni Turi
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A destra l'avvocato penalista Giuseppe Di Palo
A destra l'avvocato penalista Giuseppe Di Palo

Da uno a cinque anni con una multa fino a 15mila euro. A cui, però, va operata una riduzione da uno a due terzi della pena perché non sarebbe andato in porto l'intento criminoso. È ciò che rischiano i tre scommettitori indagati per aver incollato due numeri mancanti su un tagliando di un Gratta e Vinci in modo da vincere un premio da 10 milioni di euro.

A spiegarlo a Fanpage.it è l'avvocato penalista Giuseppe Di Palo. Una vicenda emersa una settimana fa che ha messo sotto i riflettori un 51enne di Martina Franca (Taranto) e due uomini di 46 e 47 anni di Ceglie Messapica (Brindisi), scoperti dalla commissione incaricata al controllo delle vincite della lotteria nazionale mentre stava accertando la vincita.

I tre sono quindi accusati di tentata truffa, concorso in falso e ricettazione. Eppure, sui capi d'imputazione Di Palo afferma di avere "fortissimi dubbi": "Se una persona viene accusata di aver falsificato un Gratta e Vinci – afferma – poi non le si può contestare anche la ricettazione, poiché o contesti il reato presupposto (il falso) o quello consequenziale (la ricettazione). Insomma, l'uno esclude l'altro".

Seconda osservazione: "Il falso in sé e per sé è una contestazione errata sul piano giuridico – sottolinea Di Palo -, poiché ci sono diverse sentenze in Cassazione riguardanti vicende similari in cui l'imputazione era quella del reato previsto dall'articolo 485 del codice penale, abrogato nel 2016″.

E specifica: "Proprio per questa ragione e guardando al profilo giuridico (dunque, al netto di ogni considerazione sulla presunta responsabilità dei tre indagati, in merito alla quale non mi compete entrare, ricordando il principio di innocenza degli indagati) una contestazione simile finirà sempre per essere rigettata dal giudice in fase processuale".

Pertanto, l'unica accusa a restare in piedi e dalla quale dovranno eventualmente difendersi sarebbe la tentata truffa: "Sarebbe tentata e non consumata, visto che il profitto non è mai stato materialmente conseguito – dice Di Palo -, ciò che succede in tutti i casi di truffa in cui non si consegue l'arricchimento patrimoniale".

Come si traduce per i tre accusati? "Devo premettere e ribadire il principio di innocenza: questo significa che, articolate le loro difese, gli indagati potranno chiarire la loro posizione, prima in procura poi eventualmente in tribunale. Ma, in linea generale, la pena per truffa aggravata è da 1 a 5 anni, essendo soldi dello Stato, con l'aggiunta di una multa dai 3.000 a 15mila euro. Tuttavia, il tentativo presuppone una diminuzione della pena, perché la condotta non è stata portata a compimento".

Il legale che difende i tre scommettitori ha detto che la strategia sarà "far leva sulla buona fede". Una via che ha trovato già sbocchi "in una sentenza del 2012 – racconta Di Palo -, quando una persona rinvenne da terra un tagliando vincente, senza però accorgersi che era falso. La Cassazione aveva dato credito a questa impostazione difensiva, assolvendo l'imputato".

Infine, Di Palo chiosa: "Al di là di questo specifico caso, parlando in termini generali, di fronte a episodi di questo tipo possono celarsi problematiche economiche o ludopatia, potenziali cause di queste condotte che evidenziano fenomeni oggettivi e complessi".

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