Ogni tanto mi sforzo ad immaginare come ci vedono da fuori. Faccio un giro sulla rassegna stampa internazionale e provo a cogliere la proiezione di questo Paese che si azzuffa tra cardinali, tradizionalisti pluridivorziati e difensori della famiglia tradizionale mentre hanno figli sparsi in giro. Mi domando cosa potrebbero pensare, in giro per l'Europa, dei bisticci primordiali per una legge (il ddl Cirinnà) che è già in ritardo rispetto agli standard internazionali eppure viene mistificato ogni giorno, tutti i giorni, agitato come un pericolo per l'integrità pubblica e addirittura per i nostri bambini (l'ultima infatti è che le Unioni Civili aumenterebbero il rischio di violenza su minori, qui da noi, in Italia, dove siamo primi per il numero di turisti che si cavalcano qualche bambino durante la settimana estiva dedicata al turismo sessuale).
Poi a volte, non manco d'immaginazione, mi chiedo se nella stessa pagina dedicata all'Italia che disprezza i gay ci sia magari anche una di quelle notizie sui festini di qualche prete con un perverso senso della carità, oppure se nella stessa pagina ha trovato spazio la notizia del marito dell'onorevole Mussolini (un'altra che strepita per la "famiglia tradizionale") che si trastullava con qualche minorenne in affitto. Ecco: continuo a domandarmi come deve essere a leggerci, da fuori. Perché mentre siamo tutti indaffarati a riportare le parole del Cardinale Bagnasco, stolido esempio dell'arroganza clericale, e a dare spazio a Mario Adinolfi, che per un minuto di celebrità è pronto ad abbracciare qualsiasi tesi basta che sia impopolare e con poca concorrenza, forse non ci rendiamo conto come le Unioni Civili stiano diventando lo scalpo degli oppositori piuttosto che una franca discussione sui diritti civili. Da decenni la politica italiana continua a litigarsi il primato della medievalità cambiando i nomi con cui chiamare la stessa legge. Abbiamo fior fiore di politica, profumatamente pagati, che si incaponiscono alla ricerca del sostantivo o dell'aggettivo più consono ai benpensanti. Un duello lessicale sulla pelle dei gay. E noi qui a guardare, intanto.
Ma se dovessi pensare a cosa manca davvero in questo asfittico dibattito sulla legge Cirinnà non avrei dubbi: stiamo mancando noi. Noi che non riusciamo a scrollarci di dosso quell'anfratto mentale dove sappiamo bene che per noi non cambierebbe nulla e, deboli proprio per questo, crediamo che non sia una nostra battaglia. Perché, piaccia o no, i "diritti civili" sono sempre i "diritti degli altri", ovvero delle minoranze che non hanno i numeri per fare blocco politico e hanno bisogno del buon senso e dell'illuminazione della maggioranza per poter accedere a delle soluzioni legislative pensate per loro. Nel federalismo delle responsabilità che ha atrofizzato questo paese in un buio egoismo condonato ci siamo dimenticati che le battaglie civili scrivono la storia quando coinvolgono anche i favorevoli per etica, valori e ideali e non solo per interesse: la questione dei diritti per le coppie dello stesso sesso è affar nostro perché siamo cittadini, mica gay. E invece la corrente (politica e culturale) che preme perché la legge finalmente possa diventare legge rimane un'oligarchia. Abbiamo intellettuali che si crocifiggono per un albero tagliato, contro le scritte sui muri, per la sporcizia delle piazze e intanto zitti sul tema delle Unioni Civili. Chissà perché.
Ecco io penso che ora davvero servirebbe quel moto plurale che in questo Paese ha portato a storiche e significative vittorie (penso al divorzio, l'aborto ma anche l'acqua pubblica e il no al nucleare) perché sia chiaro che in Parlamento non si sta discutendo di quale lobby sia più "forte" ma piuttosto di un diritto che già da troppo tempo è rimasto incartato nella nostra grettezza. Basta con questo teatrino, davvero. E basta con con quel campo lasciato troppo a lungo sguarnito. Difendete anche i diritti degli altri. Vi farà bene. Fidatevi.