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Covid 19

Uno dei primi casi di Covid racconta: “Pensavo di morire, non lamentatevi di restare a casa”

Carlo Giussani è un tecnico radiologo dell’ospedale di Cremona: è stato uno dei primi casi di contagiati da coronavirus, in contemporanea al paziente 1 di Codogno. “Non so dire come abbia contratto il Covid 19, ma sono sono stato tra i primi casi a Cremona e ho pensato di morire. Sono sopravvissuto, ma la realtà è che sembra di svuotare il mare con il cucchiaino”, racconta.
A cura di Annalisa Girardi
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Uno dei primi casi di coronavirus in Italia, Carlo Giussani, è stato un tecnico radiologo dell'ospedale di Cremona. Si è ammalato in contemporanea con il paziente 1 di Codogno, nei primi giorni della diffusione dell'epidemia nel nostro Paese: "Io sono sopravvissuto, ma la realtà è che sembra di svuotare il mare con il cucchiaino", racconta in un'intervista con Tgcom 24 l'uomo che ora si sta riprendendo. "Non so dire come abbia contratto il Covid 19, ma sono sono stato tra i primi casi a Cremona e ho pensato di morire", afferma Giussani.

E torna con la mente a quei primi giorni, quando sono scoppiati i casi polmoniti anomali e gli addetti ai lavori si chiedevano che cosa stesse accadendo. Il tecnico radiologo ha passato 15 giorni ricoverato tra infettivologia e pneumatologia: ora è stato dimesso ma dovrà rimanere in quarantena per altri 10 giorni, in attesa di altri esami e degli ultimi due tamponi, che dovrebbero appunto dare esito negativo. L'uomo non ha idea di dove può aver contratto il coronavirus: "Mi sono accorto che avevo sintomi influenzali ed era strano perché avevo fatto il vaccino. Mi hanno sottoposto a tampone perché ero stato a contatto con un paziente oncologico di pneumatologia che era morto con coronavirus. Ma non collego il mio contagio a lui; non ho mai avuto problemi respiratori né soffro di altre patologie. A un certo punto ho pensato che fosse stata la mia compagna ad ammalarsi per prima. Non so davvero, anche perché nel mio reparto comunque ero l'unico positivo in quei giorni e, dopo, l'epidemia non c'è stata perché siamo stati messi subito sotto controllo", racconta.

E ricorda i momenti più duri del ricovero: "Rimanere sempre cosciente, anche nei giorni più duri di ventilazione forzata, non aiuta. Perché passi il tempo a pensare, a riflettere anche solo sul fatto che respiri e che quel respiro può essere l'ultimo. In quei 15 giorni di ricovero sei subito da solo e nei 4-5 centrali in cui me la sono vista brutta avrei voluto stringere la mano di chi amo. In pneumatologia, poi, avevo un compagno di stanza ma eravamo entrambi con la maschera della respirazione forzata, quindi alla fine ci siamo solo salutati. Ho pensato tanto, in quei giorni; è angosciante sentire solo il proprio respiro, le macchine in azione… Continuo ad avere informazioni dai miei colleghi e mi sono convinto che il virus non guarda davvero in faccia nessuno".

Ora Giussani si augura solo che si trovi un vaccino al più presto. E tira le somme del ricovero e dell'isolamento, cercandone i fattori positivi: "Ho potuto riapprezzare quello che della vita avevo; ho ricominciato a leggere libri, ad ascoltare la radio. Non lamentatevi di stare a casa, godetene prima che si ricominci a fare i criceti. Restiamo a casa per salvarci: quello che sta accadendo a Bergamo accade anche a Cremona e può accadere ovunque".

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