Coronavirus, migranti in Calabria: “Senza lavoro né cibo, governo si è dimenticato di noi”
«Abbiamo paura del coronavirus, dormiamo in 15 in una tenda. Non possiamo spostarci per lavorare, qui la stagione della raccolta è finita e adesso non abbiamo soldi neanche per comprare da mangiare». Mohamed viene dal Mali e vive da otto anni in Calabria. In contrada Russo, a Taurianova, nei giorni scorsi c'è stata l'ennesima vittima, un ragazzo maliano morto dopo una violenta lite con un suo connazionale. Per questo motivo, avvicinarci al ghetto oggi è impossibile. Chi sceglie di parlare con noi, per non creare ulteriori tensioni, ci dà appuntamento in un terreno dove i migranti, prendono l'acqua grazie alla generosità del proprietario. Nella baraccopoli l'acqua non c'è, non ci sono bagni, né docce e non c'è modo di lavarsi neanche le mani, quindi rispettare il Dpcm, è impossibile.
«Siamo in tanti a vivere qua, forse cento o di più. Ci dicono che per evitare il coronavirus si dovrebbe stare a un metro di distanza, qua come facciamo? Se qualcuno sta male è un vero problema», spiega Mohamed che prima lavorava come mediatore in uno Sprar, ma con il decreto Salvini e l'interruzione del progetto, è finito in un ghetto. Arance e mandarini non ci sono più, la stagione della raccolta si è conclusa. Lo scorso anno i migranti, in questo periodo, erano già partiti verso la Puglia, la Campania, il nord Italia. Adesso i lavoratori sono bloccati. Secondo Confagricoltura, servono almeno 200mila persone subito, mentre per la Coldiretti il 40% dei raccolti resterà a marcire nei campi per mancanza di braccia in agricoltura.
«Da due mesi che non lavoro, prima stavo nei campi sette ore, guadagnavo 35 euro al giorno, raccoglievo mandarini, arance. Siamo andati a Taurianova per cercare una casa, ma non ho trovato nessuno disposto ad aiutarci», dice ancora il ragazzo. Sul piano sanitario, è Medu (Medici per i diritti umani) a offrire assistenza e in questi giorni, insieme ad altre associazioni, a portare beni di prima necessità ai migranti. «Abbiamo ricominciato a fare le visite mediche, distribuito termometri e igienizzanti per dare loro degli strumenti di monitoraggio rispetto ai sintomi da coronavirus, abbiamo attivato un sistema di Triage telefonico e cerchiamo di monitorare le condizioni di salute in generale», spiega Ilaria Zambelli, consapevole del fatto che se qui dovesse esserci un contagio sarebbe davvero un incredibile focolaio.
Sul piano lavorativo è la Cgil a rispondere alle esigenze dei migranti. «Tra le tante richieste c'è quella di poter andare a lavorare perché, insieme alle condizioni difficili di una vita precaria, si uniscono quelle di non avere la possibilità di comprare neanche da mangiare. Molti di loro- spiega Celeste Logiacco, segretario generale CGIL Piana di Gioia Tauro- chiedono di avere diritto al bonus dei 600 euro per i lavoratori agricoli, sappiamo benissimo che molti non avranno diritto perché non riusciranno a garantire il requisito delle 50 giornate lavorative».
Il problema è atavico: caporalato, sfruttamento, lavoro nero. «Malgrado loro ci dicano: ‘Si ho lavorato tutto l'anno, ma non mi ritrovo le giornate effettivamente lavorate', continua Logiacco- Adesso più che mai, è necessario regolarizzare tutti coloro che a causa del decreto Salvini sono diventati clandestini, sono senza reddito. C'è la necessità di applicare i contratti, le regole e rispettare i diritti per tutti i lavoratori, una regolarizzazione che riguarda tutti, non solo i lavoratori impiegati in agricoltura».
Alla tendopoli di San Ferdinando, la situazione rispetto a casolari occupati e ghetti, è diversa. «All’esterno della tendopoli è stata allestita una tensostruttura per isolare eventuali casi di contagio, registrando e monitorando eventuali arrivi dalle zone a rischio e gli spostamenti degli ospiti. Sono stati distribuiti gel disinfettanti, guanti e mascherine, ed è stata effettuata la sanificazione dell'intera area», dice ancora il segretario generale.
Il Comune di San Ferdinando ha anche acquistato un termoscanner. E’ stata istituita la raccolta di derrate alimentari, beni di prima necessità e sapone liquido. «Questa grave emergenza sanitaria richiede un impegno straordinario ad ogni livello della società, dalle istituzioni ai singoli».