Coronavirus, Lopalco: “In Puglia contagio da rientro dal nord c’è stato, impatto da valutare”
L'epidemiologo Pier Luigi Lopalco, capo della task force per il coronavirus della Regione Puglia, ha messo in guardia sulla possibile diffusione del coronavirus a Roma. In un'intervista rilasciata al Messaggero, ricorda che la Capitale è una "metropoli e i dati del contagio, qui, possono assumere dimensioni neppure immaginabili. Per questo è indispensabile che le misure siano quanto più dure possibile". Per Lopalco le misure decise da governo, regioni e amministrazione capitolina, nello specifico, sono giuste e motivate: "Se le situazioni che si sono verificate nei piccoli comuni del Veneto della Lombardia si verificassero in una metropoli come Roma, le conseguenze potrebbero essere ancora più drammatiche rispetto a quelle vissute finora. Io sono stato a Roma fino a due settimane fa, la metropolitana era affollatissima. Bisogna usare tutti gli strumenti perché la trasmissione rallenti al massimo. Non possono e non devono esserci assembramenti. In tutte le metropoli dove ci siano mezzi pubblici affollati o uffici pieni di gente le probabilità di trasmissione sono ancora più alte".
Al sud "contagio ai genitori dai pugliesi tornati dal nord c'è stato"
Tante, tantissime persone sono tornate in Puglia, e in generale al sud, dalle regioni del nord. I dati ufficiali parlano di 23mila pugliesi, ma il governatore Emiliano giura che i numeri sono molto maggiori. Il contagio, da parte loro, "c'è stato. Ci sono casi di ragazzi che hanno in qualche maniera contagiato i genitori, è fuori discussione. Ce lo aspettavamo e si sta verificando. Ancora non so dire quanto e se questo fenomeno ha avuto un impatto in termini di grossi numeri", ha dichiarato all'agenzia Adnkronos il professor Lopalco.
Problema focolai in ospedale
"Purtroppo dobbiamo dire che, al momento, il problema principale è quello dei focolai che si sviluppano intorno agli ospedali. Spero che venga affrontato molto seriamente, anche dalle altre regioni. Il problema riguarda tutte le strutture sanitarie: non soltanto ospedali, ma anche case di riposo e strutture assistenziali in generale. E' lì che ancora c'è movimento, ci sono contatti sociali, medici e infermieri che devono comunque lavorare insieme e sono vicini, in tutta Italia", avverte Lopalco.