L’Asst di Lodi: il paziente 1 del Coronavirus rifiutò il ricovero all’ospedale di Codogno
Il paziente uno di Codogno, l'uomo di 38 anni risultato per primo, in Italia, positivo al Coronavirus, avrebbe rifiutato volontariamente il ricovero. Lo ha spiegato in una nota il direttore generale dell'Azienda socio sanitaria locale di Lodi, Massimo Lombardo, aggiungendo così la versione dell'ospedale in una vicenda che negli scorsi giorni ha alimentato polemiche tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il governatore della Lombardia Attilio Fontana e ha portato anche all'apertura di un'inchiesta da parte della procura di Lodi.
L'ospedale di Codogno al centro delle accuse
Sembra infatti ormai assodato che uno dei due focolai di Covid-19 individuati in Italia, quello del Lodigiano, sia partito proprio dall'ospedale di Codogno, e dal cosiddetto paziente uno o "indice". Ma l'ospedale respinge l'accusa di non aver rispettato il protocollo ministeriale in una nota in cui ricostruisce come sarebbero andati i fatti. Il paziente uno, il podista 38enne M.M., poi trasferito al Policlinico San Matteo di Pavia e ancora ricoverato in Terapia intensiva, "è stato sottoposto agli accertamenti necessari e a terapia. Tuttavia decideva di tornare a casa nonostante la proposta prudenziale di ricovero". La decisione di non essere ricoverato, quindi, è stata dell'uomo, ripresentatosi 24 ore più tardi quando i sintomi da contagio erano peggiorati.
Il paziente 1 è tornato a casa nonostante la proposta di ricovero
"In relazione alle notizie di stampa apparse in queste ore che ci riguardano, mi sento innanzitutto di rivolgere il mio ringraziamento e apprezzamento a tutti i professionisti degli ospedali di Lodi, Codogno, S. Angelo Lodigiano e Casalpusterlengo per lo straordinario impegno e la dedizione dimostrata in queste difficili ore e la nostra vicinanza alle famiglie dei malati", ha scritto il direttore generale dell'Asst. Quindi ha ricostruito la vicenda del ricovero del paziente 1: "Si deve qui puntualizzare che il paziente ‘Caso 1', 38 anni, si è presentato al Pronto Soccorso dell’Ospedale di Codogno una prima volta il giorno 18 febbraio senza presentare alcun criterio che avrebbe potuto identificarlo come ‘caso sospetto' o ‘caso probabile' di infezione da coronavirus secondo le indicazioni della Circolare Ministeriale del 27 gennaio 2020: durante l’accesso in Pronto Soccorso è stato sottoposto agli accertamenti necessari e a terapia; tuttavia decideva di tornare a casa nonostante la proposta prudenziale di ricovero". Solo "nella notte tra i giorni 18 e 19 febbraio" il paziente si è ripresentato "al Pronto Soccorso dello stesso ospedale per un peggioramento dei sintomi: viene quindi ricoverato nel reparto di medicina dove il peggioramento delle condizioni cliniche ha determinato l’intervento del rianimatore la mattina del 20 febbraio e il contestuale ricovero in rianimazione".
Solo il 20 febbraio la moglie ha parlato della cena con amico rientrato dalla Cina
Sarebbe stato solo la mattina del 20 febbraio che la moglie del 38enne – incinta e a sua volta contagiata, ma le sue condizioni non sono gravi – avrebbe informato il rianimatore "di una cena, svoltasi a fine gennaio, alla quale avrebbe partecipato il Caso 1 e dove era presente un amico rientrato dalla Cina, ma anche quest’ultimo fatto, secondo i protocolli del ministero, non classificava il Caso 1 come ‘caso sospetto' o ‘caso probabile'". L'amico rientrato dalla Cina, tra l'altro, più volte indicato come il possibile paziente zero e ricoverato in isolamento al Sacco di Milano (anche se senza alcun sintomo), dai successivi controlli è risultato non aver mai contratto il virus.
L'Asst: Intuizione di una dottoressa dell'ospedale merita ammirazione di tutti
Nonostante il protocollo del ministero non lo indicasse, il direttore generale ha precisato che "il rianimatore ha comunque eseguito il tampone attivando subito nell’Ospedale di Codogno le procedure di protezione individuale dei medici e degli infermieri che hanno consentito un primo iniziale contenimento dell’infezione, dimostrando un’intuizione clinica per la quale merita l’ammirazione di tutti". Il rianimatore in questione, elogiato dal dg Lombardo, è una dottoressa la cui immediata attivazione "ha permesso, una volta confermato l’esito positivo dell’esame, di estendere le misure di prevenzione all’intero Ospedale e attivare l’Unità di Crisi presso l’Ospedale di Lodi".
Sequestrate le cartelle cliniche del paziente 1 all'ospedale di Codogno
La nota del direttore generale dell'Asst di Lodi arriva al termine di una giornata caratterizzata, tra l'altro, anche dalla notizia dell'apertura di un'inchiesta – per ora a carico di ignoti, della procura di Lodi sulle modalità di trasmissione del virus. I pubblici ministeri lodigiani hanno disposto approfondimenti per chiarire quali siano state le procedure adottate negli ospedali di Codogno, Casalpusterlengo e Lodi, al centro del focolaio lombardo di Covid-19. Nella notte i carabinieri del Nas (Nucleo anti sofisticazione) di Cremona e Piacenza hanno fatto un'ispezione nelle strutture ospedaliere, nell'ambito delle quali sarebbero state tra l'altro sequestrate all'ospedale di Codogno proprio le cartelle cliniche del paziente 1. I controlli dei carabinieri si sono estesi anche agli uffici della stessa Asst di Lodi.