La lettera di Anna a papà Luciano: “Se penso che è morto da solo non mi do pace”
Anna è una di quelle persone che ha perso una parte importante della sua vita a causa del coronavirus. Suo padre. Luciano Mercalli se ne è andato domenica, all'età di 78 anni, non prima di aver combattuto strenuamente contro la malattia. Da quando è salito sull'ambulanza che l'ha portato all'ospedale San Matteo di Pavia, non ha più visto i suoi cari: né la moglie, né la figlia, né le nipotine. Chi muore di coronavirus muore solo: a loro non è consentito l'ultimo saluto alle persone cui hanno voluto bene. Troppo pericoloso, il COVID-19 è talmente contagioso che non si può entrare a contatto con altre persone se si è positivi. E allora sua figlia Anna, per far sapere anche agli altri chi era suo padre, ha deciso di inviare una lettera a Il Corriere della Sera. Una lettera d'addio, un saluto postumo che vuole essere un palliativo al dolore.
"Ci ha scritto ‘vi prego, non venite a trovarmi. Io sono immortale, non riesco a morire. Vi abbraccio tutti'. Quello era il suo modo di proteggerci dalla morte ma era anche il suo saluto, e io non so darmi pace a pensarlo solo in quel letto mentre se ne andava. Avrà avuto paura? Avrà sofferto? Avranno pianto i suoi bellissimi occhi azzurri?". Il padre, ‘l'uomo della sua vita', aveva paura di questo virus che aveva iniziato a diffondersi in Italia. "Lui era terrorizzato da questo virus, sentiva delle persone anziane che sono più vulnerabili e si preoccupava moltissimo. Leggeva di Codogno e aveva l’angoscia che potesse arrivare fino a lui. Quando ha cominciato a tossire, ad avere la febbre e poi dopo, quando il tampone è risultato positivo, l’ho visto molto arrabbiato. Con il destino, con questa situazione orribile, con quel che gli stava capitando… È stato 12 giorni in ospedale. L’ho guardato mentre saliva sull’ambulanza e poi più niente. Un ciao con la mano e se n’è andato".
Per i suoi 80 anni, Anna aveva pensato di far avere al padre la laurea honoris causa in Ingegneria, e coronare così il sogno della sua vita. Come racconta la figlia, Luciano spesso stava sveglio di notte per pensare a brevetti per costruire pezzi di scarpe. "Era geniale. Per i suoi 80 anni avevo pensato di fargli avere la laurea honoris causa in ingegneria. Avevo già contattato l’università di Pavia, sarebbe stata una bellissima sorpresa. Lo avrei fatto felice. E invece…".
Durante la degenza in ospedale nessuno ha potuto vedere Luciano, ma la sua famiglia ha comunque cercato di fargli sentire la propria vicinanza, mandandogli fotografie e disegni delle nipotine. "Non so più quanti messaggi gli ho scritto. Ho visto la spunta blu, quindi ha letto e guardato tutto. Avrà capito che mai un minuto ci siamo dimenticati di lui. Mai. Quando questa storia sarà finita faremo onore al suo ricordo con un funerale vero, una cerimonia vera. Lo hanno messo in una bara, una benedizione veloce e via… Non abbiamo nemmeno potuto vederlo da morto, niente vestiti, né un bacio. È morto domenica, lunedì ci siamo portati a casa le sue ceneri assieme al suo telefonino, agli occhiali e all’orologio".