Un decreto per arginare il coronavirus che cita le scuole ma non i centri diurni per i disabili è come una lettera, magari ben scritta, messa in una busta con l'indirizzo del destinatario incompleto. Nella migliore delle ipotesi, poco efficace. Nella peggiore, discriminatoria. E sì che i sacrifici grandi e piccoli che la cittadinanza in questi giorni sta facendo per limitare il contagio nascono proprio dall'esigenza di tutelare loro, in primis, i più deboli. Gli anziani, i malati cronici, gli immunodepressi, le persone che per mancanza di autonomia non possono adottare le profilassi igienico sanitarie richieste, e tra queste categorie, ci sono molti disabili. Il testo di decreto uscito il 22 febbraio dalla riunione straordinaria del Consiglio dei Ministri per fermare il coronavirus imponeva la chiusura delle scuole, ma non dei CDD (Centro Diurno-Disabili), CSE (Centro Socio Educativo), SFA (Servizio di Formazione all'Autonomia), e delle altre strutture dedicate alle persone con disabilità fisiche, motorie e mentali. Né è stato aggiornato con una disposizione chiara il nuovo decreto firmato ieri, 1 marzo. Il testo, alla voce k) dell'Articolo 2, riporta "limitazione delle visite agli ospiti delle residenze sanitarie assistenziali per non autosufficienti", ma non si citano i centri diurni. Una sciatteria legislativa grave. Comprensibile che inseguire le emergenze produca inevitabili distrazioni, ma una "dimenticanza" reiterata di tale portata è inaccettabile proprio perché non tiene conto del diritto alla salute delle persone più esposte ai rischi del coronavirus. Le persone con disabilità molto spesso sono anche immunodepresse e talvolta non in grado di praticare le norme igieniche diffuse dal Ministero della Salute. Parliamo di persone che possono avere difficoltà a lavarsi le mani da sole, figuriamoci starnutire nel gomito. Persone fragilissime, di cui la politica si ricorda a ridosso delle campagne elettorali.
Per ovviare alla dimenticanza, alcuni Comuni hanno deciso autonomamente di estendere la direttiva della chiusura delle scuole a questi centri diurni, compensando quindi con una interpretazione analogica, ma la confusione che regna, nella sola Lombardia, è tanta. Se a Limbiate, Monza, Trezzano, e Gorgonzola i centri sono stati chiusi, in altri Comuni, a partire da Milano, rimangono aperti. In alcune zone, come quelle del Varesotto e dell’Insubria, ci si affida alle decisioni dell’ATS, che, data l'assenza di chiare direttive governative, ha optato perché i centri rimanessero aperti, accostandoli quindi ai "servizi essenziali" e non alle "scuole". Ed è vero, per le famiglie i centri diurni sono davvero essenziali. Tuttavia, per gli altri lavori sono state previste misure di sicurezza rigide e supplementari, per questo tipo di strutture, dove gli operatori entrano quotidianamente in contatto, anche intimo, con i disabili, nulla. Un caos destabilizzante sia per le famiglie che per i lavoratori, al punto che alcune cooperative, per profilassi preventiva, hanno chiuso autonomamente, altre, invece, un giorno aprono, l’altro chiudono, così ormai da oltre una settimana.
E mentre i giornali nazionali sono tutti presi dall’impatto del virus sull’economia, i maître à penser discutono sulle limitazioni delle libertà individuali, e la movida si riprende dallo shock dello spritz servito al tavolo invece che al bancone, per le vie di Milano e della provincia stanno circolando i pulmini di Alatha e GTP guidati da autisti senza mascherina con a bordo disabili. “Mascherina e guantini”, avvertono i lavoratori dei centri diurni iscritti al sindacato Adl Cobas, vengono dati "a chi sta male" e "se avanzano, anche agli operatori", i quali – quasi banale sottolinearlo – possono essere portatori asintomatici e veicolo di contagio. “I principali colpevoli di questo vulnus che ci auguriamo finisca immediatamente", si legge nella circolare dell’Adl Cobas datata 26 febbraio, "sono innanzitutto Regione con assessorato al Welfare, a cascata, i comuni che non si schierano, le ATS e in ultimo le cooperative che accettano tutto". Molte cooperative, infatti, rimangono aperte per non danneggiare economicamente i dipendenti, dal momento che la loro chiusura, non essendo esplicitata in maniera univoca nel decreto, non è tutelata dagli ammortizzatori sociali previsti per chi lavora nelle scuole. È per questo motivo che Adl Cobas ha rivolto il suo appello sia al Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, sia all’assessore al Welfare, Giulio Gallera, "chiusa immediata e temporanea delle attività in questi centri, per tutelare gli ospiti e si garantiscano le chiusure come esigenze di servizio così da non penalizzare economicamente i dipendenti delle cooperative".
In attesa di replica, a oggi non pervenuta, vale la pena riprendere una notizia passata un po' sottotraccia: lo scorso 23 dicembre, a Milano, la giunta regionale di centrodestra capitanata da Fontana aveva approvato una delibera che tagliava da 600 a 400 euro i contributi mensili a sostegno dei disabili e alzava a 50mila euro la soglia Isee per poterne usufruire. Se la proposta di tagliare i fondi non è passata, è stato grazie alla mozione contrapposta dal centrosinistra, passata il 14 gennaio in consiglio con 36 sì contro 32 no. Quel centrosinistra la cui vittoria in Emilia Romagna aveva così commentato Fontana: "È stata fatta una mobilitazione degna dei tempi andati, si è vista in tv gente di più di 100 anni portata ai seggi, disabili accompagnati con i pulmini, una mobilitazione per salvare quel che resta di un'idea che ormai è svanita". Se è vero che le idee di inclusione non sono svanite – come è lecito auspicare – bisognerebbe che qualcuno, da sinistra, (ri)battesse un colpo, visto che ora sta al Governo. Passata poi l’emergenza Coronavirus, se qualcuno vorrà ancora ricordarsi dei disabili per parlare di elezioni politiche, ecco un appunto di facile consultazione: il sistema sanitario nazionale destina mensilmente alle famiglie con a carico una persona disabile circa 43 euro di accessori medicali, a fronte dei 14 euro che in media costa un pacco di pannoloni a mutanda da 10 pezzi. L’incontinenza, fisica e verbale, costa.