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Covid 19

Giulia, operatore del 118 in Uk: “Qui a Londra siamo spaventati: ci ammaleremo tutti di Coronavirus”

La testimonianza arriva da chi lavora per il 118 del Regno Unito ed è preoccupato per il sistema “assolutamente impreparato”.  Il premier Johnson ha annunciato l’altro ieri che non verranno applicate misure stringenti, nonostante questa sia “la più grave crisi che la salute pubblica ha affrontato da generazioni” e che “molte famiglie perderanno i propri cari”.
A cura di Gloria Bagnariol
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Giulia – nome di fantasia perché chi testimonia a Fanpage ha paura di ritorsioni – lavora nel Regno Unito nella sala di controllo del 999, il 118 italiano, da più di quattro anni. Oggi rientrerà a casa dopo un turno di 12 ore e domani avrà davanti la stessa giornata. In questo periodo le chiamate per gli aiuti si sono moltiplicate e con loro la preoccupazione: “Ci hanno detto che da oggi non verranno più impiegate le risorse per pulire a fondo e disinfettare le ambulanze. Questo significa che gli stessi mezzi che hanno completato un lavoro su un paziente con presunto Covid-19 continueranno con le altre emergenze. Praticamente così il virus se lo prendono tutti”.

Fino a questo momento in Inghilterra se si ricorre alle ambulanze per un sospetto caso di coronavirus i paramedici portano la persona coinvolta all’ospedale dove le viene fatto il tampone e subito dopo la riportano a casa. Lì aspetterà il risultato del test, solo successivamente – e in base alle condizioni mediche – si capirà se c’è bisogno o meno di un ricovero. Dopo questo tipo di interventi i mezzi erano sottoposti a “una pulizia profonda, portata avanti da una compagnia esterna” e rimanevano fermi per 24-48 ore. Un protocollo che minacciava l’operatività del servizio, tagliando di circa il 30 per cento la disponibilità dei mezzi e raddoppiando l’attesa. La soluzione trovata è ancora più rischiosa. “Ora dobbiamo chiedere ai paramedici se hanno trasportato persone positive al coronavirus o che hanno avuto bisogno di particolari procedure legate all’insufficienza respiratoria. In caso affermativo l’ambulanza si ferma per la sterilizzazione, se invece non è così riparte immediatamente. Peccato che la risposta di un tampone arriva dopo 48 ore”, racconta Giulia, che per spiegare meglio la situazione porta a esempio un caso dei giorni recenti: “Un’ambulanza ha risposto a una chiamata di un paziente che aveva lievi sintomi riconducibili al coronavirus e aveva dichiarato di essere stato a contatto con una vittima, arrivati in ospedale i paramedici sono ripartiti subito dopo perché non hanno potuto confermare l’esito del test”

Nel Regno Unito sono stati accertati 590 casi e 10 vittime, ma è stato il premier Boris Johnson a dire ieri che “i numeri effettivi potrebbero essere molti di più”, addirittura dieci volte tanto. Secondo il leader britannico, la pandemia è “la più grave crisi che la salute pubblica ha affrontato da generazioni”, ma nonostante questo il governo non ha un vero e proprio piano per contrastarla: si fa appello ai comportamenti personali (lavarsi le mani, stare il più possibile a casa se si è un soggetto a rischio), ma scuole e negozi rimangono aperti. A chi dovesse avere dei sintomi è consigliato di rimanere una settimana a casa e poi, tornare in ufficio o a lavoro. Londra prevede che si ammalerà circa il 60 per cento della popolazione e che così si svilupperà “un’immunità di gregge”, per Johnson le famiglie devono prepararsi a “perdere i propri cari”. Dichiarazioni che Giulia giudica “ridicole oltre che provocatorie”, perché “non ci siamo svegliati oggi e abbiamo improvvisamente scoperto il Coronavirus, sono almeno tre mesi che esiste questa situazione e qui il governo, ma non solo, è totalmente impreparato”.

La maggior parte dei cittadini britannici, sia per obbligo che per scelta, non ha modificato particolarmente le proprie abitudini di vita. E’ difficile capire che una situazione è veramente pericolosa se non vengono messe in campo misure di contenimento. Giulia sente che il suo punto di vista è cambiato negli ultimi giorni, che ha iniziato a preoccuparsi di più, ma per ora non se la sente di imporsi una quarantena: “E’ una sensazione nuova, non sono abituata a queste emozioni che ho dentro, penso che mi renderò conto di cosa è cambiato quando i piccoli accorgimenti banali che prendo inizieranno a diventare routine”. Quello che la colpisce di più è che non sarà mai possibile fare un paragone reale con le varie misure messe in campo in Europa: “Qui smetteranno di fare i tamponi, non li faranno a chi rimane a casa in isolamento e probabilmente neanche ai pazienti che muoiono per le cosiddette patologie pregresse. Magari mi sbaglio, perché tutto cambia così velocemente, ma non si capirà mai il reale impatto di questa epidemia nel Regno Unito”. Il motivo per cui Londra ha fatto questa scelta è molto semplice agli occhi di Giulia: “L’economia. E’ l’unico fattore che viene tenuto in considerazione da queste parti. L’economia sopra ogni cosa”.

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